CURIOSITA'

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misterMistery
view post Posted on 20/10/2008, 23:48





IL VOCABOLARIO DI PIETRA

La pietra in basalto nero di Rosetta, grande quanto la ruota di un carro, venne alla luce il 19 luglio 1799. Mostra tre sezioni di scrittura: nella parte superiore ci sono 14 righe in geroglifico; 22 in demotico nella parte centrale, e 54 righe in grafia maiuscola greca nella parte più bassa.
Confrontando una copia dei tre testi, un diplomatico svedese esperto di lingue orientali, Akerbald, dimostrò che i nomi dei re, nella parte greca, comparivano nella stessa posizione nel testo demotico e avanzò con una certa sicurezza l’ipotesi che le tre sezioni fossero la traduzione di un unico testo: un protocollo del collegio sacerdotale di Menfi, datata 27 marzo del 196 a.C., che esaltava Tolomeo V Epifane per la sovvenzione accordata a un tempio. Fu una benedizione che in epoca tolemaica, quando le funzioni di governo erano tutte affidate a greci e greca era la lingua ufficiale, gli atti pubblici avessero pubblicazione bilingue, in egizio e in greco

NAPOLEONE LANCIA L'EGITTOMANIA

Fallita la spedizione militare d’Egitto, la Francia, dopo molte riluttanze, dovette consegnare all’Inghilterra tutte le antichità egizie prese da Bonaparte. Il generale Hutchinson ne curò il trasporto e re Giorgio III d’Inghilterra destinò i preziosi pezzi al British Museum. Un intero anno di fatiche e sacrifici degli scienziati che avevano accompagnato Napoleone sul Nilo sembrò andare sprecato.
In seguito, però, considerando che ogni pezzo era stato copiato, si vide che pur quel poco che era giunto a Parigi poteva bastare per una generazione di studiosi. Il primo a presentare al pubblico una relazione chiara e sicura sulla spedizione egiziana fu il barone Dominique Vivant Denon, che nel 1802 pubblicò il suo Voyage dans l’Haute et Basse Égypte, un best-seller internazionale. Contemporaneamente François Jomard, basandosi sul materiale raccolto dalla commissione scientifica e specialmente sui magnifici dipinti e schizzi di Denon, iniziava la redazione di un’opera in 24 volumi, la Description de l’Égypte (1809-1813), che rivelò al mondo moderno una civiltà fino allora nota solo a pochi viaggiatori. L’impatto fu stupefacente e diffuse una vera mania per lo stile egizio: vasellame, mobili, dipinti e persino l’architettura del decennio successivo furono pesantemente ornati di sfingi, piramidi e facciate di templi.

IL RISVEGLIO DELLA SCRITTURA

I risultati del lavoro di Yung vennero inviati a Jean-François Champollion in Francia. Quest’ultimo impiegò due anni prima di convincersi che i geroglifici non erano semplicemente simbolici, ma una volta accettato il loro valore fonetico fu in grado non solo di identificare rapidamente i segni, ma anche di comprendere abbastanza bene l’antica lingua, tanto da poter fare la traduzione completa della sezione geroglifica della Stele di Rosetta.
Non si limitò ad interpretare come lo Yung singole parole o lettere, ma riconobbe il "sistema". Scriveva Champollion al segretario della Reale Accademia francese delle iscrizioni, il barone Joseph Dacier: "Sono arrivato al punto in cui posso avere una visione completa della struttura generale di questa forma di scrittura, segni e regole della loro combinazione ... così ci sono le basi per la grammatica e il dizionario di queste scritte che si trovano sulla maggior parte dei monumenti". Purtroppo Champollion non poté vedere la pubblicazione della sua grammatica, poiché morì d’infarto nel 1832. Dopo oltre 1500 anni di silenzio, finalmente si potevano leggere gli antichi testi egizi e per gli studiosi si apriva un nuovo orizzonte di informazioni.

LA CAMPAGNA MILITARE D'EGITTO

Inattaccabile sul suo territorio e padrona dei mari, l’Inghilterra sfidava Napoleone, recente vincitore della campagna d’Italia del 1796-97 contro l’Austria. Bonaparte pensò allora di colpire l’ostinata rivale nei suoi interessi coloniali conquistando l’Egitto, che faceva parte dell'impero ottomano, per farne una base d’attacco contro l’India, fonte della potenza commerciale britannica.
Il 19 maggio 1798 l’esercito francese, forte di 38000 uomini, partì da Tolone su una flotta di 328 navi, armata di 2000 cannoni. La flotta inglese al comando dell’ammiraglio Orazio Nelson, che incrociò per un mese nel Mediterraneo, non riuscì a impedire che Malta venisse strappata ai Cavalieri. Sbarcato ad Alessandria il 2 luglio, Napoleone marciò fino alla piana di Giza, sbaragliò i mamelucchi di Murad-bey nella battaglia delle Piramidi ed il 25 luglio entrò vittorioso al Cairo. Dieci giorni dopo, però, Nelson sorprese e distrusse la flotta francese dell’ammiraglio Bruyes alla fonda nella baia di Abukir, facendo di Napoleone, tagliato fuori da ogni contatto con la Francia, quasi un prigioniero delle sue stesse vittorie. L’avventura di Napoleone, tuttavia, si trascinò ancora per un anno. Il generale Desaix, infatti, riportò successi nell’Alto Egitto e lo stesso Bonaparte ebbe la sua rivincita sugli inglesi proprio ad Abukir, ma il 19 agosto 1799 dovette abbandonare comunque la sua armata e il 25 lasciò l’Egitto a bordo della fregata Muiron. Nel settembre 1801, con la capitolazione di Alessandria, la Francia accettò la sconfitta.

LA CAMPAGNA SCIENTIFICA D'EGITTO

A Tolone, insieme ai soldati in partenza per l’Egitto, salirono sulla flotta francese anche 175 scienziati civili - astronomi e geometri, studiosi di chimica e di mineralogia, botanici e orientalisti - e un numero considerevole di pittori e poeti.
Erano forniti di una biblioteca che conteneva quasi tutti i libri reperibili in Francia sulla terra del Nilo e duecento casse con apparecchi scientifici e strumenti di misurazione. Dopo la vittoria francese nella battaglia delle Piramidi, molti di questi civili furono aggregati alle truppe del generale Desaix che, sulle tracce del fuggiasco Murad-bey (sconfitto poi a Sediman), si addentrarono in una folle marcia nell’Alto Egitto, fino ad Assuan. Durante il percorso gli scienziati e gli artisti misurarono, calcolarono, raccolsero quanto potevano asportare e, soprattutto, copiarono con meticolosa precisione monumenti, colossi, colonne, obelischi, geroglifici e particolari architettonici. Quando Napoleone rientrò precipitosamente in patria, gli studiosi che avevano raggiunto l’Alto Egitto continuarono affannosamente le loro ricerche, convogliando al Cairo, dove nel frattempo era stato fondato l’Istituto Egizio, tutti i reperti asportati, le riproduzioni, le notizie, i materiali vegetali, animali e minerali raccolti. La collezione conteneva, oltre a numeroso vasellame, 27 sculture - per lo più frammenti di statue - diversi sarcofagi e alcune stele, tra le quali quella di basalto nero rinvenuta a Rosetta. In seguito alla capitolazione di Alessandria, la Francia dovette però consegnare all’Inghilterra tutto il suo bottino archeologico.

DOMINIQUE VIVANT DENON (VERSATILE E GENIALE)

Tra i civili che presero parte alla campagna d’Egitto c’era un uomo singolare e versatile, raccomandato come disegnatore al generale Bonaparte dalla moglie Giuseppina Beauharnais, regina dei salotti parigini. Il suo nome era Dominique Vivant Denon e aveva allora cinquantun anni: un’età di tutto rispetto per andarsene in guerra. Egli aveva alle spalle una vita avventurosa: barone di nascita ed ex diplomatico, fu spogliato di titolo e beni allo scoppio della rivoluzione e si ritrovò, da un giorno all’altro, a vivere in quartieri malfamati, vendendo disegni per nutrirsi, mentre le teste di molti suoi amici cadevano nella piazza di Grève. Ebbe un inatteso protettore in Jacques-Luois David, il pittore della rivoluzione, che lo rimise a galla: tornò così a frequentare i saloni, ottenne da Robespierre la restituzione dei suoi beni ed entrò nelle grazie della bella Giuseppina che lo presentò a Napoleone. Denon non sapeva nulla dell’Egitto, ma ne fu subito conquistato. Aggregato a Desaix che lo teneva nella considerazione di un padre, fu infaticabile nell’avventurosa marcia verso Assuan, sempre con l’album da disegno a portata di mano.
Disegnò la piramide a gradoni di Saqqara, gli avanzi della tarda antichità egizia di Dendera e le rovine di Tebe. A Elefantina copiò la cappella di Amenofi III e la sua eccellente riproduzione è l’unica testimonianza che ce ne resta, perché il monumento fu distrutto nel 1822. Questi disegni apparvero poi sull’autobiografia Voyage dans l’Haute et Basse Égypte, che gli procurò notorietà e ricchezza, e sulla Description de l’Égypte. Al ritorno in patria ebbe la carica di direttore di tutti i musei, e dal 1826, anche del Louvre. Seguendo passo passo Napoleone, vincitore sui campi di battaglia d’Europa, fece bottino di opere d’arte, raccogliendo i primi elementi di una delle maggiori ricchezze della Francia. Poco prima di morire, nel 1825, seppe che Champollion aveva trionfalmente decifrato i geroglifici della Stele di Rosetta.

VITA BREVE E DETERMINATA DI JEAN FRAN

Gli aneddoti sulla vita e sull’opera di Jean-François Champollion sono della natura più varia. Si parla di predizioni sulla sua fama quando era ancora nel ventre materno; di segni premonitori (il neonato avrebbe avuto la cornea gialla, propria solo degli orientali); di caratteristiche frenologiche che lo indicavano come "genio linguistico".
Nacque a Figeac (Delfinato) nel 1790 e fu senz’altro un enfant prodige, ma non era scritto nelle stelle: lo divenne per la sua determinazione e per la sua prodigiosa sete di sapere. Lo dovette anche al fratello maggiore Jacques-Joseph, un filologo molto dotato, che lo prese con sé a Grenoble, ed ebbe cura della sua educazione (gli fece studiare l’arabo, il siriaco, il caldeo e il copto) sostenendolo economicamente. A mostrare a Jean-François Champollion una copia dalla Stele di Rosetta fu, nel 1801, il famoso fisico e matematico Jean-Baptiste Fourier (1768-1830), che aveva partecipato alla campagna d’Egitto ed era diventato segretario dell’Istituto Egizio del Cairo. Il giovane ne fu ossessionato e dedicò allo studio della pietra tutto il suo tempo. Dopo un soggiorno di studio a Parigi, nel 1809, a diciannove anni, venne nominato per meriti accademici professore di storia all’università di Grenoble, anche se osteggiato dai suoi vecchi insegnanti che avevano ordito contro di lui una serie di intrighi. Compromessosi durante i Cento giorni di Napoleone, alla restaurazione dei Borboni fu congedato come professore e proscritto per alto tradimento. Cominciò allora la fase finale della decifrazione dei geroglifici che si concluse nel 1822 con la pubblicazione dello scritto Lettre à M. Dacier relative a l’alphabet des hiéroglyphes phonétiquse. Dopo anni di lavoro a tavolino, nel 1828 Champollion poté finalmente visitare l’Egitto; fu una marcia trionfale: gli indigeni accorrevano festanti per vedere colui che "sa leggere la scrittura delle pietre antiche". Morì prematuramente quattro anni dopo.

EGITTOMANIA

Nel quadro delle passioni orientalistiche, l’egittomania copre un settore vasto e multiforme, ora geniale ora kitsch, dove l’ispirazione all’arte decorativa dell’antico Egitto spazia dalla musica all’architettura, dall’arredamento ai gioielli, dal teatro al trucco. Dalla fine del Settecento in poi, le case borghesi si riempiono di soprammobili a forma di obelisco, sfingi e piramidi.
Tramontata la moda "impero" dello stile "ritorno dall’Egitto" di memoria napoleonica, l’art nouveau si lancia con entusiasmo sulle scoperte archeologiche egiziane per disegnare mobili, gioielli, costumi e bozzetti per balletti. Già prima della spedizione napoleonica d’Egitto l’architetto e incisore Giambattista Piranesi (1720-1778) era diventato famoso per le sue improbabili decorazioni egizie di interni; un secolo dopo il librettista Camille Du Locle trae da una novella del famoso egittologo francese Auguste Mariette materiale per l’Aida, musicata da Giuseppe Verdi e messa in scena per la prima volta proprio al Cairo nel 1871. Il gusto per l’Egitto ha influenzato anche la letteratura, da quella colta, come la tetralogia Joseph und seine Brüder (Giuseppe e i suoi fratelli, 1932-43) di Thomas Mann a quella divulgativa, recentissima, di Christian Jacq (il ciclo di Ramses II), passando per il best-seller mondiale Sinhue l’egiziano (1945), del finlandese Mika Waltari, rivisitazione del bellissimo Racconto di Sinuhe, un "classico" della lettura del Medio Regno. Ma nel XX secolo, a partire dagli anni Trenta, è stato soprattutto il cinema a celebrare la fortuna dell’antico Egitto, con produzioni spesso anche fastose (I dieci comandamenti,1956; Cleopatra, 1963), mentre in televisione le mummie, le piramidi e i loro misteri, la Sfinge sono oggetto di molti talk show. In musica l’Egitto è tornato ai nostri giorni con Akhnaten (1984), opera di grande suggestione del compositore Philip Glass.

LA COLLEZIONE SALT

Negli anni tra il 1819 e il 1824, Henry Salt, console inglese ad Alessandria d'Egitto, riuscì a mettere insieme una interessante collezione con le opere provenienti dagli scavi da lui condotti nelle necropoli di Tebe e del Delta. La collezione fu messa in vendita a Livorno dal banchiere Pietro Santoni, fratellastro del Salt.
Qui la vide Champollion, che fece appello al re Carlo X perché la acquistasse per il museo egiziano che veniva allora allestito a Parigi, il Musée Charles X .
Champollion scriveva al re: "Ne se présentera jamais une plus belle occasion pour la France de former un musée égyptien qui compléterait si dignement celui du Louvre". La collezione Salt venne acquistata nel 1826 e poco dopo Champollion fu nominato conservatore del nuovo museo.
Essa comprendeva opere di valore eccezionale, come la grande Sfinge di Tanis, la statua in legno di una coppia di sposi, la statuetta della dama Nai e la statua di Sétaou con la dea serpente Nebkhed. Tra i reperti funerari presenti nella collezione Salt si segnala il bell'esemplare del libro dei morti dello scriba Nebqed. Inoltre, alcune opere rappresentano delle preziose testimonianze degli aspetti della vita nell'antico Egitto, come le pitture con scene di lavoro dalla tomba di Onsou, la paletta dello scriba Pay e i vasi canopi.

LA COLLEZIONE DROVETTI

Bernardino Drovetti, che fu console generale di Francia in Egitto tra il 1811 e il 1816, raccolse nella sua casa di Alessandria una straordinaria collezione di antichità. Quando il governo francese rifiutò l’offerta di vendita, a causa del prezzo eccessivo, essa venne acquistata dal Regno di Sardegna per il Museo egizio di Torino.
Nel 1827, grazie all'interessamento di Champollion, una seconda collezione Drovetti fu acquistata per il Musée Charles X, andando a costituire, insieme alla collezione Salt, il nucleo originario della sezione egiziana del Louvre. Si trattava di oltre 500 pezzi, tra cui numerosi capolavori di oreficeria, come la coppa di Djehuty, sculture colossali come quella di Sobekhotep I, ma anche stele, papiri, sarcofagi.
In precedenza, Drovetti aveva agito come mediatore tra la Francia e il viceré egiziano Mohammed Alì per l'acquisto del famoso anello con cavalli sul castone oggi al Louvre. Dono personale del console alla collezione egiziana è il tempietto in granito del re Amasis.

GLI ACQUISTI DI CHAMPOLLION

Durante i sedici mesi che trascorse in Egitto, tra l'agosto del 1828 e il novembre del 1829, Champollion riuscì a raccogliere circa cento pezzi d'arte antica.
In una lettera egli fa il bilancio della spedizione: "C'était un devoir pour moi de m'efforcer d'enrichir la division égyptienne du Musée royal... Je n'ai rien épargné pour atteindre ce but; tout ce que j'ai pu économiser sur les fonds que la maison du roi et divers ministères avaient bien voulu m'accorder puor mon voyage a été employé à des fouilles et à des acquisitions de monuments égyptiens de toute espèce, destinés au musée Charles X". Tra i monumenti portati in Europa da Champollion, il più bello è sicuramente la statuetta di bronzo della divina adoratrice Karomama che lui stesso descrive così: "J'apporte au Louvre le plus beau bronze qui ait encore été découvert en Egypte... Je suis sûr que vous embrasserez la princesse sur les deux joues...". Vanno inoltre segnalati il bassorilievo raffigurante il re Seti I e la dea Hathor, esposto nella galleria Henri IV, e il sarcofago di Téôs, "un sarcophage en basalt vert, couvert de sculptures d'une admirable finesse d'exécution et du plus haut intérêt mythologique...", oggi nella cripta di Osiris al Louvre.
Champollion portò con sé anche un'enorme quantità di disegni e annotazioni interessanti: "J'ai ainsi amassé du travail pour une vie entiere". Tutte le sue carte furono acquistate dallo stato francese alla sua morte.

GLI SCAVI DI MARIETTE

Nel 1851 Auguste Mariette rinvenne presso Saqqara l'antica Memphis, la necropoli sacra ad Apis, il dio in forma di toro. Gli antichi egiziani ritenevano che questo dio si incarnasse di generazione in generazione in un animale della specie, che i sacerdoti sapevano riconoscere sulla base a segni particolari.
Il toro sacro veniva allevato nel tempio con onori divini e, alla sua morte, veniva imbalsamato e sepolto in tombe fastose. A Saqqara, Mariette rinvenne numerose cripte sotterranee collegate da gallerie, nelle quali erano stati deposti i sarcofagi contenenti i tori Apis. Le tombe restituirono numerosi materiali, stele, amuleti, statuine di adoranti.
L'ingresso dei sotterranei era collegato mediante un lungo corridoio, detto dromos, ad un tempio in onore di Apis. In seguito, qui fu venerato il dio Serapis.
Attraverso un accordo con il governo egiziano, Mariette ottenne che una parte dei reperti provenienti dagli scavi venissero acquisiti dal Louvre. Altre campagne di scavi presso le grandi piramidi di Giza, ad Abido, a Karnak e lungo tutto il corso del Nilo, contribuirono ad arricchire la collezione di antichità egiziane.
Tra le opere d'arte provenienti dal Serapeum di Memphis si segnalano le sei sfingi di calcare che un tempo decoravano il sentiero di accesso al tempio e oggi sono esposte nella sala 11. Nella sala 19 sono esposti i materiali della necropoli di Saqqara, tra i quali spiccano la grande statua del dio Apis e il pettorale in oro con il nome di Ramses II.

LE ANTICHITA'

La ricca collezione copta del Louvre si è costituita soprattutto grazie all'interesse per due importanti località dell'Egitto cristiano: Baouit e Antinoe.
L'antico monastero di Baouit sorgeva sulla riva occidentale del Nilo, nel Medio Egitto. Fondato intorno al 390 d.C., successivamente venne ricostruito e accresciuto.
Nel VII secolo raggiunse il suo massimo splendore, arrivando ad ospitare 5000 monaci, e venne poi progressivamente abbandonato all'epoca della dominazione araba. Gli scavi vennero intrapresi da Jean Clédat tra il 1901 e il 1903 e continuati da Maspero nel 1913. I materiali rinvenuti furono divisi tra il museo del Cairo e il Louvre. Le collezioni del Louvre si arricchirono così di una serie di frammenti architettonici, in parte rimontati in un'apposita sala.
L'arrivo dei monumenti Baouit al museo francese inaugurò l'interesse per l'arte dell'Egitto cristiano.
Anche Antinoe, un'altra località del Medio Egitto, restituì testimonianze relative alla fase più tarda della storia egiziana. Questa città fu fondata nel 132 d.C. dall'imperatore Adriano, sulla riva orientale del Nilo; prese il nome dal giovane favorito dell'imperatore, Antinoo, che era morto annegando nel Nilo. Antinoe ebbe una grande espansione in età bizantina fino a diventare, durante il regno di Giustiniano, capitale della Tebaide. L'attenzione verso questo sito fu risvegliata per la prima volta da Etienne Guimet che lo visitò nel 1895. Tra il 1896 e il 1910, Albert Gayet vi condusse una serie di campagne di scavo, finanziate in parte dal Louvre, che in cambio ottenne parte dei rinvenimenti. La necropoli di Antinoe, in particolare, costituisce tuttora un'immensa riserva di reperti, soprattutto di frammenti di tessuti e papiri, che vanno dalla fine dell'antichità al Medioevo.

IL "SAHARA VERDE"

Alla fine dell’ultima glaciazione, verso il X-IX millennio a.C., l’aumento generale delle temperature determinò in tutta l’Africa centro-settentrionale periodi di grande umidità. L’indebolimento del fronte polare nord rispetto a quello sud provocò il rimontare del monsone carico di pioggia che diede origine alla fase subpluviale neolitica, detta del "Sahara verde".
La rete idrografica del Sahara conobbe così un intenso vigore. A sud dei grandi massicci del Tibesti, dei Tassili e dell’Hoggar, così come nella parte meridionale della Mauritania, tutte le regioni, oggi coperte da depositi sabbiosi, erano occupate da vasti laghi alimentati da fiumi potenti, che si diramavano in tutte le direzioni. Il clima umido determinò in montagna una vegetazione di querce, noci, tigli, ontani, mentre alle basse altitudini prosperavano il pino, il ginepro, il lentisco e l’olivo, tutte piante mediterranee. La vasta savana della pianura era formata da graminacee a rapido sviluppo e ospitava una fauna ricca e varia: gazzelle, elefanti, antilopi, diversi tipi di bovini e, nei laghi e nei fiumi, ippopotami, coccodrilli e diverse varietà di pesci. Verso il IV millennio a.C., il periodo umido del Sahara cominciò a esaurirsi e, man mano che le regioni circostanti si inaridivano, le popolazioni dovettero spostarsi nella piana alluvionale del Nilo, dove si affermò stabilmente la prima grande cultura, detta Naqada.

UN SALOTTO NELLA TOMBA

Nel 1925 un gruppo di archeologi americani, inviati dall’Harvard Museum of Fine Arts di Boston, si trovava a Giza per esplorare e fare le mappe delle tombe che erano ai piedi della Grande Piramide.
Un fotografo stava tentando, con grandi difficoltà, di sistemare il treppiede vicino alle tre piramidi secondarie, a sud-est della piramide di Cheope. Improvvisamente, una delle gambe del treppiede scivolò in un buco ed egli scoprì di aver danneggiato un antico intonaco. Sotto c’era una piccola camera con il pavimento cosparso di mucchi di schegge di legno e frammenti di lamine d’oro. Ogni frammento venne fotografato, nell’esatta posizione del ritrovamento, in modo da poter ricostruire tutto con precisione. Ciò che in un primo tempo avrebbe potuto apparire un mucchio di segatura marcia da spazzare via, era in realtà, come poi si scoprì, quello che restava del magnifico arredamento fatto per la tomba della regina Hetepheres, moglie di Snefru e madre di Cheope. C’era un letto, una poltroncina con capitelli e due sedie con braccioli, le più antiche del mondo.

UN COMPLESSO DI SEGNALI

È stato affermato spesso che tutto il complesso di Giza sia un segnale dell’esistenza e del passaggio di una qualche antica evoluta civiltà, magari proprio quella che 12500 anni fa - secondo Schwaller de Lubicz e altri - avrebbe costruito la Sfinge.
È nella natura dell’uomo lasciare segnali della propria esistenza; lo ha fatto anche la NASA quando, nel 1977, ha lanciato nello spazio le due sonde Voyager che trasportavano una placca di metallo con una mappa del sistema solare e la figura di un uomo e di una donna. In seguito, nell’ambito del progetto SETI (Search for Extraterrestrial Intelligence) dal radiotelescopio di Arecibo (Portorico) è stato inviato nello spazio un grafico, in sistema binario, del nostro DNA. Come dire: "Attenzione, ci siamo. Siamo qui. Siamo fatti così!". Se, guidato dalla segnalazione della Grande Piramide, un gruppo di extraterrestri sbarcasse a Giza avrebbe a sua disposizione molte informazioni riguardanti la Terra (distanza dal Sole, curvatura, peso, temperatura, livello medio della superficie dei continenti sul mare ecc.) che sarebbero tutte contenute nella piramide di Cheope. C’è un altro messaggio che gli extraterrestri potrebbero leggere, ossia "dove sono andati" i creatori dei segnali di Giza. Non c’è dubbio, si sono diretti verso le tre stelle che formano la cintura di Orione le quali, come ha per primo notato l’ingegnere Robert Bauval, autore del best-seller Il Mistero di Orione, sono perfettamente allineate ai monumenti di Chefren, Cheope e Micerino. Chi li ha voluti proprio in quella posizione aveva le sue ragioni. Presso Luxor, nel soffitto della tomba del ministro Senmut, c’è un graffito che mostra le divinità Horo e Iside, accanto alle quali, in un riquadro, appaiono tre stelle disposte nella stessa posizione della cintura di Orione, ovvero delle tre piramidi di Giza; una quarta stella sta nel punto esatto in cui, nella piana, è posta la Sfinge. Attorno alla stella centrale del graffito - quella che corrisponde quindi alla piramide di Cheope - sono tracciate tre chiarissime ellissi, le orbite di altrettanti pianeti. Significa forse che gli egizi si tramandavano la storia di antichi antenati costretti, nella notte dei tempi, ad abbandonare il pianeta per rifugiarsi in una stella lontana, lasciandosi dietro tre piramidi e una sfinge? I sostenitori della teoria dei "segnali" sostengono di sì; gli storici negano e si arrabbiano.

LEONARDO LA VEDEVA COSI'

Il famoso disegno di Leonardo sulle proporzioni del corpo umano, noto anche come "uomo vitruviano", si basa su misurazioni reali, frutto di un’indagine che impegnò l’artista dal 1487 al 1490.
Leonardo arrivò a un sistema di misure che coincideva in gran parte col canone di Vitruvio: solo nella misura del piede scelse una dimensione più piccola, un settimo della lunghezza totale del corpo anziché un sesto come aveva suggerito l’autore latino.
Per verificare quanto coincidessero le loro idee sulle proporzioni ideali della figura umana, basta un brano tratto dal terzo libro del De architectura, in cui Vitruvio sostiene che l’uomo ben proporzionato può essere inscritto allo stesso tempo in uno schema rotondo e in un quadrato: "… Così, il centro del corpo è naturalmente l'ombelico; infatti se si collocasse supino un uomo colle mani e i piedi aperti e se si mettesse il centro del compasso nell'ombelico, disegnandosi una circonferenza si toccherebbero tangenzialmente le dita delle mani e dei piedi. Ma non basta: oltre lo schema del circolo, nel corpo si troverà anche la figura del quadrato. Infatti, se si misura dal piano di posa dei piedi al vertice del capo e poi si trasporta questa misura alle mani distese, si troverà una lunghezza uguale all'altezza, come accade nel quadrato tirato a squadra".
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IL VICINO ORIENTE ALLA META

Al principio del XVI sec. a.C., i babilonesi furono travolti da re Mursili degli ittiti, che instaurò una temporanea supremazia sulla Mesopotamia meridionale. A sud-ovest si estendeva l’Egitto che reagiva stancamente alla situazione di stasi, contendendo alle dinastie semitiche degli hyksos le regioni del Delta, dove si erano insediati fin dal 1640 a.C.
Nella Mesopotamia settentrionale e nelle terre contigue si era saldamente installato, già da diversi secoli, il regno urrita di Mitanni; l’Anatolia centrale era governata dagli ittiti, i cassiti avevano la Mesopotamia meridionale e gli elamiti l’Iran sud-occidentale. A metà del XVI sec. a.C., l’Egitto uscì dall’immobilismo: Kamose, ultimo re della XVII dinastia insediata nell’Alto Egitto attaccò gli hyksos (1555 a.C.) che, dopo di lui, il fratello Amosi, in una ventina di anni di guerre, riuscì a scacciare dalle sue terre. Con lui ebbe inizio una nuova dinastia (la XVIII) e prese vita il Nuovo Regno. I successori di Amosi, Tutmosi I, Tutmosi II e poi Tutmosi III, estesero la propria potenza a sud fino alla Nubia e, a nord, attraverso la Palestina, fino all’Eufrate, contendendo il predominio sulla regione agli urriti, che di lì a poco avrebbero dato origine all’unificazione del regno di Mitanni. Già da sette secoli, gli urriti, originari del Caucaso meridionale, erano infatti apparsi a nord e a est della Mesopotamia, costituendo vari principati minori che, intorno al 1480, vennero riuniti da re Parrattarna. Poco sappiamo della storia di Mitanni, che per più circa due secoli costituì la più grande potenza del Vicino Oriente; le poche notizie che abbiamo provengono da archivi stranieri (egizi, ittiti, assiri). Nel XIII sec. a.C., nel centro e in tutta la metà occidentale dell’impero di Mitanni si insediarono gli ittiti, mentre la parte orientale finì in mano ai sovrani assiri, che da poco si erano resi indipendenti. Ciò che gli ittiti fecero dal saccheggio di Babilonia alla metà del XIV sec. a.C. ci giunge indirettamente da fonti egizie, soprattutto dalle tavolette in scrittura cuneiforme di Akhenaton, in cui sono documentati i rapporti tra Egitto e Mitanni. In questi documenti i sovrani urriti denunciavano, infatti, i problemi che gli ittiti creavano nel tentativo di imporsi in Cilicia e nell’alto Eufrate. La storia successiva ci è invece raccontata dalle 10.000 tavolette del palazzo e del tempio di Hattusa, la capitale del nuovo impero (presso Ankara). Queste tavolette illustrano la crescita del popolo ittita attraverso gli editti, gli atti diplomatici, le cronache reali di Suppiluliuma I, il sovrano che stabilì il suo dominio sull’Anatolia e che intraprese campagne nel Levante, fino al Libano, approfittando della momentanea assenza dalla politica internazionale dell’Egitto, travagliato dalla riforma religiosa di Amenofi IV. Quando però l’Egitto ritrovò con Seti I e Ramses II la propria unità politica, l’urto con gli ittiti divenne inevitabile.

LA BATTAGLIA DI MEGIDDO

L’espansione verso sud del regno di Mitanni, che aveva costituito un impero nella Mesopotamia settentrionale, fece declinare l’influenza egiziana in Siria e in Palestina e spinse il faraone Tutmosi III ad affrontare, intorno al 1480 a.C., una coalizione siro-palestinese di 330 principi presso la città di Megiddo, porta della Mesopotamia.
L’armata dei principi attaccò gli egiziani, ma Tutmosi, forte di truppe mercenarie e dei carri da guerra trainati da cavalli, contrattaccò di sorpresa, all’alba, dividendo l’esercito su tre fronti. Gli egiziani, invece di incalzare, si fermarono, secondo la consuetudine, a saccheggiare l’accampamento nemico, dando così il tempo all’esercito della coalizione di rifugiarsi nella città che, prima di cedere, sopportò sette mesi di assedio.

SUMERI, ACCADI E BABILONESI (I POPOLI DELLA MESOPOTAMIA)

Verso la metà del IV millennio a.C., la Mesopotamia meridionale fu invasa da un popolo di stirpe sconosciuta e proveniente probabilmente dal nord. Erano i sumeri che invece di dedicarsi alla pastorizia itinerante praticavano l’agricoltura.
L’impulso dato da queste genti sedentarie alla crescita delle comunità portò al potenziamento dei villaggi che, unificandosi attorno ad una struttura templare, si trasformarono in città-stato (come Ur, Uruk, Umma, Lagash), poste sulla riva dei fiumi Tigri e Eufrate o dei canali che li collegano. Durante i secoli del cosiddetto periodo protodinastico (2800-2500 a.C.) le città sumere furono spesso in lotta tra loro e combatterono aspramente con quelle fondate più a nord dagli accadi, un popolo di origine semitica stabilito da secoli nella regione. Verso la metà del III millennio Lugalzagesi, signore di Umma, riuscì ad unificare per breve tempo le città sumere e accadiche, creando il "primo impero sumerico"; egli non fu però in grado di produrre le strutture politiche e amministrative capaci di tenere in piedi uno vasto organismo statale, né di garantirne la sopravvivenza. Di questa debolezza approfittarono gli accadi che, sotto la guida del leggendario Sargon il Grande di Kish, diedero vita, nel 2350 a.C., all’impero accadico. Alla metà del XXI sec. a.C. riuscì a prendere il sopravvento la città di Ur ("secondo impero sumerico"), che per un secolo tenne unita la regione mesopotamica. Esso venne però messo in crisi dalla penetrazione in Mesopotamia di popolazioni semitiche seminomadi, le cui peregrinazioni sono tramandate anche dalla tradizione biblica riguardante i Patriarchi. Dal paese di Amurru, nel Libano, giunsero gli amorrei (più tardi conosciuti come babilonesi) che, dopo lunghe lotte che dissolsero l’unità sumera, riuscirono a stabilirsi a Babilonia. Il primo impero babilonese, per quanto limitato nel tempo (1793-1595 a.C.) trasformò completamente la vita politica e sociale della Mesopotamia. Dal 1795 al 1750 a.C., regnò su Babilonia Hammurabi, un sovrano di stirpe amorrita, che si preoccupò di creare uno stato efficiente ed equilibrato. A questo scopo promulgò un codice di leggi, il cosiddetto Codice di Hammurabi, e instaurò nel paese l’unità religiosa con il culto del dio Marduk. Con i suoi successori, misteriosamente, le città della Mesopotamia meridionale vennero abbandonate, forse per una catastrofe ecologica, e rimasero deserte per molti secoli. La dinastia amorrita continuò comunque a regnare sulla Mesopotamia meridionale fino alla metà del XVI sec. quando dovette affrontare le invasioni di popoli indoeuropei come i cassiti (infiltrati dall’Iran) e gli ittiti, resi quasi invincibili dall’uso del cavallo e dalla padronanza della tecnologia del ferro. Dopo una breve scorreria ittita, che devastò Babilonia nel 1531, il potere fu assunto dai cassiti che, perfettamente integrati nella cultura sumero-babilonese, rimasero nel paese per quattro secoli. Toccherà agli assiri riunire, verso il 1100 a.C., tutta la Mesopotamia in un unico vasto impero che si protrarrà, con la forza delle armi, fino al 612 a.C., quando la riscossa dei babilonesi darà vita a un breve secondo impero che sopravviverà meno di cento anni.

LA SOCIETA'

In età sumerica, l’organismo che fungeva da centro di promozione di tutte le attività era tradizionalmente identificato con il tempio, che oltre alla funzione religiosa rivestiva anche quella economica e politica.
Esso amministrava la terra da coltivare e le risorse idriche, ammassava le eccedenze con le quali realizzava le grandi opere pubbliche, promuoveva l’artigianato e il commercio. Inoltre il tempio era anche il proprietario di tutte le attrezzature necessarie allo sfruttamento del terreno (aratri, carri, animali da tiro) e la casta sacerdotale, in quanto depositaria delle tecniche agricole, delle conoscenze scientifiche e delle tradizioni religiose, costituiva il nucleo sociale dominante. All'inizio, sia la funzione religiosa che quella laica dello stato erano accentrate nella persona del re-sacerdote che non aveva, come in Egitto, prerogative divine, ma che era, comunque, estremamente potente in quanto mediatore tra gli uomini e gli dèi ai quali tutto era sottoposto. Tra il 3000 e il 2600 a.C., il tempio perse gradualmente la sua funzione di centro economico a favore del palazzo e il sovrano accentuò le sue caratteristiche secolari. Delegata ai sacerdoti la funzione religiosa, egli divenne il capo dell’amministrazione e dell’esercito, promuoveva trattati politici e commerciali, promulgava le leggi e amministrava la giustizia. Di pari passo, anche la società si laicizzò e, consentendo larghi margini all'attività e all'iniziativa privata, permise ai più meritevoli di emergere dalla massa dei cittadini. La carriera militare emancipò la gente comune a scapito della vecchia nobiltà e si ruppe la tradizione parentale come base della struttura sociale. Tuttavia, i guerrieri, come i sacerdoti, mantennero un’organizzazione di casta. Al re erano sottoposte tre classi sociali, la più elevata delle quali era quella degli uomini liberi (in accadico awillum = "uomo"). Essi erano i possessori di terra, ricevuta dapprima dal re o dal tempio in cambio di servizi resi e diventata poi proprietà personale, e godevano di tutti i privilegi. Chi non possedeva la terra, anche se benestante, rientrava nella categoria dei subalterni o mushkinu (parola che ci è stata resa dalla traduzione araba col significato improprio di "meschino"). Questi erano probabilmente i commercianti, i professionisti, gli impiegati statali che la fortuna o le capacità personali avevano fatto emergere dalla massa degli schiavi o wardum ( prigionieri di guerra, debitori insolventi o figli di schiavi), che non avevano personalità giuridica, ma che avevano la possibilità di possedere beni. La donna godeva, in età sumerica, di una certa autonomia e prestigio che diminuì, però, nel periodo assiro quando aumentò d'importanza la figura del guerriero.

ARCHEOLOGI AD ABU SIMBEL

Il tempio di Ramses II ad Abu Simbel fu scoperto nel 1813 dal famoso viaggiatore svizzero Jean-Louis Burckardt che, vestito da arabo e facendosi chiamare Sheikh Ibrahim, era riuscito ad arrivare in posti in cui nessun europeo avrebbe mai potuto sperare di mettere piede. Burckardt parlò di Abu Simbel in termini entusiastici a Giovanni Battista Belzoni.
Con il finanziamento del console britannico Henry Salt, Belzoni partì allora per il sud, incurante delle minacce degli "indigeni con lance" che trovò più volte sul suo cammino. Arrivò incolume alla meta nel 1816, ma poté fare ben poco: almeno 9 metri di sabbia ne ricoprivano l’ingresso del tempio e non riuscì a trovare uomini disposti a lavorare per la cifra di cui disponeva; fu quindi costretto a ripartire senza aver raggiunto l’ingresso del monumento. Ma Salt non intendeva perdere un’occasione tanto ghiotta e rispedì Belzoni in Nubia, territorio quasi vergine dal punto di vista della ricerca archeologica. Nel luglio 1817, con un caldo quasi insopportabile, Belzoni era di nuovo di fronte ai colossi di Abu Simbel. Si mise a lavoro da solo, spogliandosi fino alla cintola per spalare la sabbia sotto la calura del sole di mezzogiorno e dieci giorni dopo apparve un foro sulla sommità della porta del tempio. Quando Belzoni vi si infilò carponi, usando solo la luce di poche candele, fu il primo uomo che, in tempi moderni, poté posare gli occhi sulle splendide camere tagliate nella roccia. Si guardò intorno e decise in fretta. Rimase due giorni soltanto, sufficienti per raccogliere tutto quello che fosse asportabile all’interno del tempio. Verso il 1825 una missione inglese eseguì i calchi dei colossi e le tracce di gesso lasciate sul monumento vennero tinte, 50 anni dopo, con galloni e galloni di caffé, da Amelia Edwards, scrittrice e principale animatrice della Fondazione per l’esplorazione dell’Egitto.

LA DIFFUSIONE DEL CRISTIANESIMO

L’Egitto fu senza dubbio, per motivi soprattutto geografici, uno dei primi luoghi in cui la nuova religione cristiana cominciò a diffondersi. Per la verità, sui primordi del cristianesimo nel paese dei faraoni esistono ben poche certezze storiche.
Comunque a Bahnasa sono stati rinvenuti alcuni testi tratti dal Nuovo Testamento e risalenti all’incirca al 200, mentre addirittura più antico sarebbe un brano del Vangelo redatto in copto e tornato alla luce in una località dell’Alto Egitto. Certo è che la Scuola Catechistica di Alessandria fu fondata nel 190 da Pantaneo, cui succedettero nell’insegnamento personaggi di primo piano, quali Clemente e Origene. Almeno in principio, però, non si trattò di una vera e propria scuola di teologia, dato che vi si insegnavano anche materie umanistiche e scientifiche, ma è indubbio che essa dovette comunque rappresentare una delle prime importanti istituzioni ove si praticasse l’insegnamento religioso. In seguito, l’Egitto conobbe anche la violenza delle persecuzioni contro i cristiani: avvenne sicuramente sotto Decio, che, alla metà del III sec., ordinò agli egiziani di adorare pubblicamente le divinità pagane e di abiurare l’eventuale fede cristiana, pena la tortura e la morte. 50 anni dopo sarebbe stato Diocleziano, impegnato nella riorganizzazione dell’impero e dovendo far fronte all’insurrezione del popolo egiziano che si opponeva alla romanizzazione del suo paese, a mettere in atto una terribile persecuzione, prendendo a pretesto la fede cristiana per annientare gli oppositori. In seguito però, con la conversione dell’imperatore Costantino e il conseguente editto di Milano (313), la situazione migliorò anche per l’Egitto, dove da subito cominciò a svilupparsi, e piuttosto rapidamente, il fenomeno del monachesimo.

L'EGITTO ROMANO

Anche a causa dei rapporti non proprio idilliaci che, per ragioni soprattutto culturali, correvano tra romani ed egiziani, i primi tempi del dominio romano in Egitto furono segnati da malcontento e rivolte, che costrinsero gli occupanti a stabilire autentici presidi militari ad Alessandria, a Babilonia e in corrispondenza dell’attuale Assuan. I rapporti non sarebbero migliorati col tempo: considerato solo un granaio per Roma, l’intero Egitto venne infatti sottoposto a pesanti tributi, mentre gli abitanti venivano censiti, costretti a esose tassazioni e, in seguito, anche obbligati ad arruolarsi nell’esercito romano.
E se in un secondo momento almeno gli abitanti greci di Alessandria e del Faiyum riuscirono a recuperare qualche privilegio, nessuno ne venne mai riconosciuto alla popolazione rurale egiziana, che tuttavia fu interessata direttamente dalla pianificazione agricola cui l’antico regno dei faraoni venne sottoposto. Solo ai sacerdoti egiziani spettò un trattamento di tutto rispetto, anche se pure loro dovettero accettare un significativo ridimensionamento di beni e ricchezze. Sotto gli imperatori romani, che avrebbero esercitato il proprio potere sull’Egitto fino al 395 d.C., furono comunque edificati nuovi templi, e quelli già esistenti vennero in molti casi ampliati e abbelliti.

IL BOWLING AI TEMPI DEI FARAONI

Sono ancora gli egizi a far parlare di sé con la loro capacità unica di aver precorso i tempi. E questo anche quando volevano divertirsi un po'. La scoperta è frutto della missione archeologica dell'Università di Pisa realizzata sul sito greco-romano di Narmouthis (a 100 km a sud-ovest del Cairo, nell'oasi del Fayum).
Qui i ricercatori italiani hanno riportato alla luce quella che può essere considerata la più antica pista da "bowling" ossia il gioco con le grosse bocce che servono per abbattere dei birilli. Il divertimento si teneva all'aperto, su di un pavimento appositamente realizzato con mattoni di limo, il noto fango fertilizzante del Nilo.
Si è giunti alla conclusione che su di esso si giocava a bowling dove aver scoperto una scanalatura non molto larga che termina in un buco di 12 cm di diametro con una piastra in terracotta sistemata sotto di esso. A ciò si è aggiunto il ritorvamento di due piccole bocce di pietra levigata dello stesso diametro della scanalatura che venivano lanciate, proprio come si fa con la moderna boccia da bowling nello stretto corridoio. "E' una costruzione unica; verosimilmente è il primo tentativo di praticare un gioco simile al moderno bowling", afferma Edda Bresciani, egittologa a capo della missione. Il tutto risale ad un'età compresa tra il III e II secolo avanti Cristo.
Perché è interessante questa scoperta? Aristide Malnati è archeologo all'Università Cattolica di Milano: "Il ritrovamento così inusuale è destinato ad allargare la nostra conoscenza sulle attività ludiche in Egitto. Sullo stesso scavo o nel corso di operazioni archeologiche su siti vicini sono stati in più occasioni rinvenuti giochi per bambini o per adulti: bambole (in legno o in pezza), piccoli palloni anch'essi di pezza, trottole o giochi con bastoncini. Erano tutti oggetti che allietavano la vita già di per sé vivace dei giovani egizi in quelle zone; e poi i dadi, gli strumenti per giocare alla morra o forme di intrattenimento ludico più complesse (come un antico backgamon, con regole a noi ignote). E' un aspetto questo, ancora troppo poco noto del mondo egizio che ci aiuta ad immaginare però, come si intrattenessero tra loro gli adulti degli stessi antichi villaggi".
Nella stessa area archeologica è stata scavata recentemente anche una ulteriore area di svago e riposo: un sistema idraulico ad oggi senza paralleli, degno dell'ingegneria idraulica dei romani: si tratta di una cisterna ricavata nella roccia fino all'attacco della volta e fornita d'acqua da un condotto a sua volta collegato a un canale esterno al villaggio. Ancora Malnati: "Erano le terme di Narmouthis dove giovani fanciulle o matrone più attempate si recavano per migliorare l'aspetto fisico; e lì vicino gli uomini si cimentavano nel bowling sul campo appena trovato: era probabilmente la zona ricreativa di questo antico villaggio".
I recenti scavi hanno infine rivelato particolari informazioni sulla vita delle guarnigioni romane, che di volta in volta si sono succedute a presidiare l'abitato e la zona. L'esplorazione degli alloggiamenti militari ha continuato a fornire con abbondanza i barilotti di forma ellissoidale destinati a contenere la razione quotidiana di vino. Un grande ambiente intonacato e decorato a motivi geometrici era forse il quartiere del capo del "castrum" (l'alloggiamento militare). Il villaggio cambiò fisionomia con l'avvento del cristianesimo e con il tramonto dell'Impero romano; tanto che nell'epoca del fiorire delle chiese prima e delle moschee poi, avvenne inesorabile lo smantellamento o la perdita di valore di molte strutture precedenti, come la cisterna o come il campo da bowling. In seguito, con l'avanzata del deserto, Narmouthis fu abbandonata.



fonte: www.fatinasexy.com





 
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