I GEROGLIFICI

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misterMistery
view post Posted on 20/10/2008, 17:51





LA SCOPERTA DI CHAMPOLLION

La decifrazione del sistema geroglifico è dovuta al francese Jean-François Champollion che nel 1882 riuscì a individuare una chiave di lettura nella Stele di Rosetta, ritrovata nel 1799 da un generale di Napoleone Bonaparte durante la campagna d’Egitto.
La stele, in basalto nero, costituiva un frammento di un’iscrizione ben più lunga, che conteneva un decreto del 196 d. C. emesso dai sacerdoti di Menfi in onore del re Tolomeo V Epifane per ringraziarlo delle elargizione fatte a favore dei templi. Conteneva quattordici righe scritte in geroglifici, trentadue in demotico e cinquantaquattro in greco. Champollion individuò nella parte scritta in greco il nome del re Tolomeo V Epifane e si ricordò degli studi fatti da un suo predecessore, l’abate Barthélémy. Questi aveva intuito che nei geroglifici i nomi dei faraoni erano sempre inscritti in un cerchio, detto poi "cartiglio" o "cerchio reale". Esaminando quindi i geroglifici contenuti nel cartiglio, associò a ciascuno di essi un valore fonetico che riproducesse il nome del re Tolomeo in greco, ovvero Ptolmys.
L’intuizione fu comprovata da una successiva esperienza dello stesso Champollion. Nel 1815 era stato ritrovato nell’isola di File un obelisco in granito rosso recante una doppia iscrizione, in geroglifici e in greco. Champollion, procuratosene una copia, si rese conto dal testo greco che anche qui, come nella stele di Rosetta, era nominato un re Tolomeo con la moglie. Nei geroglifici si distinguevano infatti due cartigli, di cui uno conteneva gli stessi segni che nella stele di Rosetta indicavano Tolomeo. L’altro cartiglio doveva quindi contenere il nome della regina: Cleopatra. Champollion stava procedendo per la strada giusta: applicando lo stesso metodo alle molte iscrizioni che circolavano in Francia dopo la campagna napoleonica, riuscì a decifrare molti nomi di re greci e romani. L’alfabeto così individuato diventava sempre più ampio, ma, nonostante gli enormi progressi, erano ancora molti i punti oscuri. Champollion era riuscito infatti a decifrare solo i nomi dei re stranieri, quelli che gli scribi erano costretti a traslitterare; niente si sapeva ancora su tutti gli altri segni.
Continuando lo studio dei geroglifici contenuti nei cartigli, Champollion riconobbe il segno del disco solare che, associato ad altri due segni già in precedenza identificati con i suoni ms, dava il nome di Rames. Il mondo dei faraoni si stava finalmente aprendo agli occhi di Champollion.

LA SCRITTURA

Geroglifico viene dal greco hieroglyphicòs, formato da hieròs (sacro) e glyphein (scrivere). La scrittura era infatti appannaggio dei sacerdoti; dunque era sacra.
La scrittura geroglifica è detta "monumentale", poiché veniva usata soprattutto per le iscrizioni scolpite sulle pareti dei templi e delle tombe. Per semplificare le iscrizioni a penna su papiro si adottò una scrittura corsiva, detta "ieratica".
Nel VII secolo a.C. fece poi la sua apparizione sui papiri un’altra forma di scrittura ancora, il demotico o "scrittura popolare", che permetteva una redazione molto più rapida dei documenti.
La scrittura egiziana è "ideografica", cioè composta di ideogrammi, figure che rappresentano tanto l’uomo e le sue azioni, quanto animali, piante, oggetti domestici, e ogni sorta di rappresentazione della realtà.

L'ORIENTAMENTO DEI SEGNI

Il primo problema da affrontare quando ci troviamo di fronte a un testo in geroglifici è comprendere in quale senso è stato scritto. La scrittura egiziana poteva infatti svilupparsi sia in verticale che in orizzontale, e, in quest’ultimo caso, sia da sinistra verso destra che da destra verso sinistra.
Gli egiziani non scrivevano mai dal basso verso l’alto; solo in alcuni casi, per motivi estetici, segni complementari venivano posti sopra al segno cui si riferivano.
La direzione era indicata dalle teste delle figure umane o animali, che erano rivolte dalla parte in cui iniziava l’iscrizione. Anche nelle pitture in cui il testo appariva come un commento all’immagine dipinta, il volto della divinità o della persona raffigurata era rivolto verso l’inizio del testo indicandone la direzione.

L'ORDINAMENTO DEI SEGNI

Oltre a criteri estetici, l’ordinamento dei segni doveva rispondere all’esigenza di occupare il minor spazio possibile.
La linea del testo veniva suddivisa in tanti riquadri entro cui lo scriba disponeva i segni in modo che la singola parola fosse conclusa in un solo riquadro, indipendentemente dalla lunghezza della stessa. La disposizione dei segni non seguiva regole rigide ma variava a seconda dei casi, privilegiando all’interno del riquadro l’ordinamento verticale. Ad esempio, la parola bello non veniva mai scritta in orizzontale, ma i vari elementi venivano disposti in modo da occupare tutto il riquadro disponibile. Le parole inoltre venivano scritte una di seguito all’altra senza lasciare uno spazio tra di esse.

LA FONETICA

Così come nelle altre lingue, in egiziano le parole erano composte da consonanti e vocali, ma nella scrittura geroglifica queste ultime erano sistematicamente ignorate.
Conseguentemente, oggi possiamo soltanto ipotizzare come gli egiziani pronunciassero la loro lingua, basandoci sulla pronuncia di certe parole egiziane passate in altre lingue come ad esempio il copto.
E’ convenzione introdurre al momento della lettura una é breve tra le differenti lettere, per permettere di pronunciarle.

I SEGNI

Il sistema geroglifico era in parte pittorico e in parte fonetico. Un solo segno poteva avere valori differenti, a seconda che fosse utilizzato in funzione di ciò che rappresentava, cioè come ideogramma, o per il suo valore fonetico, ovvero come fonogramma. Per esempio, l’occhio poteva significare letteralmente "occhio", oppure avere il valore fonetico iri.
All'origine della scrittura, ogni segno svolgeva la funzione di pittogramma; in altre parole, il senso era rappresentato in maniera figurata dal segno stesso. Un pesce significava "pesce", una casa voleva dire "casa". Gli egiziani disegnavano un oggetto sempre nella stessa maniera convenzionale, in modo da non suscitare ambiguità. Per tradurre un’azione, la rappresentavano per mezzo di una figura umana semplificata, oppure per mezzo della parte del corpo che compiva l’azione stessa (un braccio, una mano, la bocca, ecc.).
Con il passare del tempo l'esigenza di esprimere concetti astratti e nomi propri condusse ad utilizzare i segni per il loro valore fonetico.

GLI IDEOGRAMMI

Gli ideogrammi sono segni che denotano l’oggetto o l’azione concreta che rappresentano: un volto indica effettivamente un volto, un paio di gambe indica l’azione del camminare, un rettangolo con un lato interrotto indica la casa.
I geroglifici sono chiari esempi di ideogrammi, che denotano però solo oggetti e azioni concrete. Per comunicare concetti astratti come "figlio", "amore" o "grande, gli egiziani facevano uso dei fonogrammi.

I DETERMINATIVI

Uno stesso geroglifico poteva denotare più oggetti con significato diverso. La comprensione di queste parole era facilitata dall’uso di segni detti "determinativi" che, posti alla fine della parola, aiutavano a determinare l’esatto significato della stessa, indicandone la categoria semantica. Il segno dell’uomo che porta una mano alla bocca, per esempio, può indicare più azioni: mangiare, bere, leggere ad alta voce, gridare, cantare.
Analogamente, un paio di gambe in movimento possono significare più azioni: arrivare, partire, scendere, viaggiare, trasportare.
Uno stesso segno inoltre poteva essere interpretato sia nella valenza di determinativo sia in relazione a ciò che illustrava. Il segno dell’acqua, se posto alla fine di una frase, rappresentava qualcosa che era associato all’acqua, come l’azione del bere, una cateratta o il Nilo stesso; quando invece era affiancato da una barra verticale, acquistava significato di per sé, indicando semplicemente l’acqua.

I COMPLEMENTI FONETICI

Le parole composte da due o tre fonogrammi erano spesso accompagnate da un ulteriore segno, detto "complemento fonetico", il cui suono ripeteva interamente o in parte il suono della parola composta.
I complementi fonetici aiutavano il lettore a pronunciare correttamente le parole, aggiungendosi ai segni che esprimevano già il suono in questione, e specificandolo ulteriormente. Al fonogramma che significa casa e che si legge pr, per esempio, veniva aggiunto il geroglifico della bocca che ha il valore fonetico di r, per specificare ulteriormente questo suono.
Essendo posti alla fine della parola e rafforzandone il senso, i complementi fonetici servivano inoltre a distinguere quando i geroglifici venivano usati in funzione del loro suono, cioè come fonogrammi, e quando invece erano usati in funzione di ciò che rappresentavano, cioè come ideogrammi.

IL NOME

Come in tutte le lingue, gli elementi essenziali della frase erano il sostantivo, l'aggettivo, il pronome e il verbo. In egiziano la maggior parte dei sostantivi era formata da due o tre consonanti, ma ne esistevano anche di una o quattro consonanti. Normalmente l'articolo non veniva utilizzato.
C’erano due generi: il maschile e il femminile. Mentre i sostantivi maschili non avevano desinenza caratteristica, i femminili avevano per desinenza una -t. C’erano tuttavia tre numeri: il singolare, il plurale e il duale; quest’ultimo veniva utilizzato solo per designare delle coppie. I nomi plurali terminavano in -w per il maschile e in -wt per il femminile; il plurale di un segno era spesso indicato ripetendo lo stesso segno tre volte, o aggiungendo dopo di esso tre trattini o tre cerchietti verticali o orizzontali.

L'AGGETTIVO E IL PRONOME

L'aggettivo concordava in genere e numero con il sostantivo che qualificava. Abitualmente lo seguiva.
Gli aggettivi non si distinguevano dai sostantivi per la forma, salvo il femminile plurale che aveva sempre la desinenza -t al posto di -wt
I pronomi personali potevano essere indipendenti o dipendenti. I primi venivano utilizzati come soggetti della frase nominale; i secondi, come complemento oggetto. Essi erano: inek, cioè "io"; netek, "tu"; netef, "egli"; netes, "ella"; inn, "noi"; neteten, "voi"; netesen, "loro".
Questo genere di pronome figurava sempre all’inizio della frase, in quanto soggetto dal valore enfatico. Quando erano affiancati a dei sostantivi, avevano il valore di pronomi possessivi; quando erano affiancati a dei verbi, valevano come pronomi personali complementi.

IL VERBO

Il verbo era senza dubbio la parte più complessa della grammatica egiziana. Aveva una forma attiva e una forma passiva; i modi sono ancora oggi poco conosciuti; i tempi erano nella maggior parte dei casi determinati da infissi posti tra il verbo stesso e il soggetto pronominale.
Nella coniugazione le persone erano normalmente indicate da pronomi personali provvisti di suffisso, direttamente affiancati alla radice del verbo. La forma che presentava unicamente il suffisso pronominale f poteva essere considerata come il nostro presente indicativo, sia attivo che passivo; era anche una delle forme più frequenti per indicare la simultaneità. La forma contrassegnata dai suffissi nf descriveva un’azione compiuta, ragione per la quale è il tempo narrativo del passato. La forma contrassegnata dai suffissi hr aveva un valore molto vicino al nostro futuro.

IL NOME DEI FARAONI

Il faraone era dotato di un titolo regale, che consisteva in cinque grandi nomi. Il primo era il "nome di Horus" (tradizionalmente, il dio dinastico), preceduto dal serekh dello stesso Horus, un disegno rettangolare rappresentante la facciata del palazzo reale, al cui interno era scritto in caratteri geroglifici il nome del faraone e sul quale era appollaiato il dio in forma di falcone.
Il segno formato dal cobra e dall’avvoltoio era il nome geroglifico degli dei Dames, Nekhbet e Uadjit, gli dei e dee protettori dell’Alto e del Basso Egitto. Seguiva il nome di "Horus d'oro", preceduto dal geroglifico di Horus al di sopra di un monile in oro, la cui interpretazione è oggi ancora incerta.
Si chiama "prenome" il nome portato dal faraone in quanto re dell’Alto e del Basso Egitto; era preceduto dal giunco e dall'ape, plantes araldiche dell’Alto e del Basso Egitto, iscritto all’interno di un cartiglio. Solo alla fine era indicato il nome di nascita, preceduto dalla menzione "figlio di Ra", iscritto anch’esso in un cartiglio; si tratta del nome con il quale noi designiamo "confidenzialmente" ogni sovrano: Tutankhamon, Ramesse ecc.

I NUMERI

Per indicare i numeri, gli egiziani adottavano un sistema decimale che si scriveva utilizzando segni diversi per le unità, per le decine, per le centinaia, fino ai milioni. Per le unità si usavano dei trattini verticali, per le decine degli archetti, per le centinaia delle spirali.
Nella scrittura i segni relativi ai valori più alti erano posti prima dei valori più bassi, e ciascun segno era ripetuto più volte fino a un massimo di 9 per raggiungere la cifra che si voleva indicare. I numeri cardinali erano scritti prima del nome a cui si riferivano.



fonte: www.fatinasexy.com

 
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