L'ANTICO EGITTO - 9

« Older   Newer »
  Share  
MartinMystere
view post Posted on 10/11/2008, 00:19




IL PERIODO AMARNIANO

Amenofi IV, succeduto a Amenofi III intorno al 1375 a.C., realizzò una vera e propria rivoluzione religiosa, sostituendo al tradizionale politeismo il culto del dio unico, il Sole, venerato con il nome di Aton.

Questo cambiamento scaturì dalla volontà del faraone di controllare il potere crescente dei sacerdoti del dio Amon di Tebe. Amenofi IV assunse il nuovo nome di Akhenaton, "colui che è utile a Aton" e trasferì la capitale nella località di Tell el Amarna. L'arte del periodo amarniano ha caratteristiche inconfondibili: il sovrano e la moglie Nefertiti vengono ritratti spesso in atto di adorare il disco solare; i reali vengono raffigurati come personaggi dai corpi allungati e dalle membra esili, con i crani slungati e i volti dall'ovale sfuggente, con grandi occhi a mandorla. Questo tipo di raffigurazione mira a conferire al sovrano e alla sua famiglia un'espressione intensa, di profonda spiritualità. Sia la scultura monumentale che le arti minori rivelano un sensibilità luministica, che conferisce una delicatezza talvolta anche estenuata alle superfici. Sono caratteristiche che si ritrovano anche nell'arte del breve regno di Toutankhamon, successore di Akhenaton. Egli riportò la capitale a Tebe e abbandonò il culto solare a favore della religione tradizionale.


LA DIFESA NELL'ARTIGLIO DI HORUS

Con ogni probabilità, durante l’Antico Regno le truppe erano arruolate localmente e dovevano svolgere soprattutto un ruolo di forza-lavoro organizzata: contingenti di soldati erano impiegati nelle miniere del Sinai o per scortare spedizioni commerciali, oltre che ovviamente per garantire la protezione delle frontiere.

Nel Primo Periodo Intermedio l’instabilità politica provocò la formazione degli eserciti privati dei nomarchi e il ricorso a truppe non egizie: è il caso di quelle formate dai nubiani che però, col tempo, costituirono corpi scelti e divennero una sorta di forza di polizia. Durante il Medio Regno si può ormai parlare di unità militari permanenti ben organizzate, integrate, in caso di necessità, da milizie locali. Con il Secondo Periodo Intermedio si verificò un progresso senza precedenti nello sviluppo delle armi, dell’organizzazione militare e della strategia. L’esercito permanente e gli ufficiali di professione cominciarono allora a svolgere una parte importante nella politica interna. In epoca tebana, durante il Nuovo Regno, l’esercito era ormai diventato "nazionale". Esso prevedeva la guardia reale su carri e una guarnigione a piedi; gli uomini erano organizzati in divisioni che comprendevano fanteria, carristi e arcieri, insieme a veri e propri corpi speciali di assalto. Capo supremo era il faraone, cui erano gerarchicamente sottoposti un "grande rettore dei soldati" (generalissimo), i vari generali, i capitani di compagnie e gli alfieri comandanti di plotone.


GLI OBIETTIVI DELLA XII DINASTIA

Nonostante gli eventi che avevano posto fine all’Antico Regno, l’idea della monarchia unitaria non tramontò, anche se i nuovi sovrani non avranno più il controllo assoluto dello stato come i monarchi che li avevano preceduti.

L’unità dell’Egitto, iniziata da Montuhotep II dell’XI dinastia intorno al 2050 a.C., fu ricomposta dai prìncipi della XII dinastia, originari di Tebe, nell’Alto Egitto. Tebe, col Medio Regno, divenne nominalmente la capitale del paese, anche se i faraoni preferirono risiedere in diverse città presso il Faiyum. I sette re di questa dinastia operarono in modo che l’azione politica di ciascuno integrasse quella degli altri, muovendosi su tre linee ben definite: erodere il potere dei prìncipi locali per restaurare lo stato piramidale, incrementare i mezzi e le forze a loro disposizione, attuando larghe bonifiche e attivando nuove miniere, e riportare il Levante sotto l’egida egiziana per meglio controllare i traffici del Mediterraneo orientale. Il successo premiò la dinastia. Sotto Sesostri III (1878-50), i governatori di provincia di nomina reale avevano già sostituito i principi locali, in maniera da far apparire restaurata l’amministrazione; ampie aree del Faiyum vennero rese coltivabili, e con truppe levate in tutto l’Egitto venne sottomessa la parte settentrionale della Nubia, il paese dell’oro. Contemporaneamente, fu ristabilito l’antico predominio egizio sul Levante, incentrato a Biblo, e assicurato pacificamente un ruolo primario in materia di scambi con Creta: i rapporti con l’esterno si fecero quindi più frequenti. Per difendere le frontiere i faraoni eressero una serie di fortini murati sulla linea di Suez (Muro del Principe) e altri al confine nubiano. Amon, la divinità tebana, fu elevato a dio dinastico e destinato a grandi fortune; le divinità provinciali vennero comunque onorate con templi e santuari (dei quali rimangono oggi poche tracce), dimostrando così la sopravvivenza di concezioni anche religiose maturate nell’epoca feudale. Si sviluppò una cultura raffinata e venata da un certo pessimismo verso la specie umana. Anche se le testimonianze architettoniche sono quasi del tutto scomparse, rimangono capolavori superbi di arte statuaria che appare completamente innovata. Il merito più grande di quest’epoca nel campo dell’arte è, però, la ripresa della produzione letteraria, che ci ha lasciato capolavori come il famoso Racconto di Sinuhe, un "romanzo breve" che ha attraversato le ere.


I RAPPORTI CON L'ESTERNO

All’abbondanza della produzione agricola si affiancò, nel Medio Regno, un florido artigianato che, nelle città, consolidò la formazione di una classe media. Dopo la rivolta sociale, infiammatasi proprio a Menfi (2260) in seguito alla chiusura dei cantieri delle piramidi, gli artigiani erano stati accolti in gran numero nei laboratori provinciali, dove, liberi dall’esecuzione ripetitiva delle decorazioni funebri codificate da rigide regole, maturarono e affinarono il loro gusto personale.

Ne derivò una produzione varia, ricca e originale che espresse i suoi migliori risultati nella gioielleria. Ora l’Egitto del Medio Regno, oltre alle eccedenze agricole (grano, lino, papiro), aveva abbondanza di prodotti artigianali che il consumo interno non riusciva a smaltire, soprattutto quando si trattava di merci pregiate (gemme lavorate, unguenti e profumi, monili d’oro, pelli ferine, ebanisteria ecc.). Lo sbocco a tutte queste eccedenze, sia agricole che artigianali, non poteva essere che il commercio di esportazione con altri paesi, soprattutto con le terre del Levante e Creta. Le navi fenicie distribuirono la raffinata produzione egizia in tutti i porti del Mediterraneo e, in cambio, fecero giungere in Egitto lo stagno spagnolo, il legname, l’argento; da Creta, che controllava tutte le isole del mare Egeo, arrivavano, oltre al vino e all’olio, i motivi della sua arte raffinata che si diffuse in tutto l’Egitto. In materia di scambi con gli altri paesi, gli Egizi non ignoravano il concetto basilare secondo il quale, per stabilire una corrente costante, non bastava aumentare la produzione interna destinata alle esportazioni, ma bisognava aiutarla con un polmone sussidiario, accogliendo nel paese empori o fondachi stranieri. Già dall’Antico Regno Biblo assolveva a questa funzione, ma ora basi commerciali permanenti fenicie, cretesi e siriane vennero create sul Delta. L’Egitto si era aperto all’esterno.


LA "SIGNORA DELLA CASA"

La responsabilità della vita domestica spettava alla donna, alla quale veniva attribuita la qualifica di "signora della casa". Non si trattava solo di un formale titolo di cortesia, perché la moglie organizzava tutta la vita quotidiana e amministrava i beni comuni. Proprio per esprimere il senso di eguaglianza e di intimità, marito e moglie venivano indicati, anche nella lirica d’amore, con i termini "fratello" e "sorella".

Le donne di estrazione più umile condividevano spesso l’attività lavorativa del marito oltre, naturalmente, a occuparsi delle faccende tipicamente femminili come tessere, cucinare, tenere fornita la dispensa e preparare unguenti. Già nell’Antico Regno la donna era dal punto di vista giuridico indipendente: poteva cioè far valere i propri diritti in tribunale ed esprimere liberamente la propria volontà nel disporre dei beni privati.
Il matrimonio era sancito da un contratto che, alla morte del marito, assicurava alla vedova la sua parte di patrimonio. Nella civiltà egiziana la donna svolse sempre un ruolo considerevole, spesso assai più importante che nelle altre civiltà del Mediterraneo. Anche nella religione ebbero parte importante le divinità femminili: oltre a Iside, che con la forza dell’amore vinse la morte, altre dee impersonarono, nel pantheon egiziano, figure dalla forte personalità e carattere.


LA CONDIZIONE DEL SOLDATO

Leggiamo in un antico papiro: "Vieni, che ti descriva la condizione del soldato, ricca di tormenti. Quando è poco più che un ragazzo, è preso e imprigionato in una caserma.

È sottoposto a dure punizioni, messo giù e battuto come un papiro. Vieni, che ti descriva il suo viaggio in Siria e la sua marcia sulle colline. Il suo pane e la sua acqua stanno sulle sue spalle come la soma degli asini; beve acqua putrida e si ferma solo per fare la guardia. Quando arriva alla battaglia è come un uccello spennato e non c’è forza in tutto il suo corpo. Quando torna in Egitto è peggio di un bastone corroso dai vermi: è malato e deve essere trasportato a spalla". È tuttavia difficile che queste descrizioni corrispondano alla realtà: gli scribi tendevano infatti a dimostrare che la carriera militare era socialmente inferiore alla loro e nelle descrizioni che ne fanno non sono né teneri né obiettivi. Ben armati e organizzati, i soldati dovevano condurre una vita piuttosto faticosa e piena di rischi, ma, come testimoniano numerosi documenti (per lo più del Nuovo Regno), potevano contare su ricche ricompense e partecipare alla divisione del bottino di guerra; inoltre, quando si ritiravano dal servizio ottenevano spesso come ricompensa della terra da coltivare. Reclutati dagli scribi, vivevano in caserme dove venivano addestrati alle tecniche di attacco e di difesa, a fabbricare e a mantenere efficienti le armi, a seguire puntigliosamente gli ordini. In guerra l’esito vittorioso dipendeva dalla disciplina e dall’addestramento, perché ogni battaglia si risolveva in grandi scontri in cui lo schieramento e la velocità di manovra potevano avere la meglio sul numero delle truppe avversarie.


LE ARMI

L’armamento durante l’Antico e il Medio Regno fu alquanto povero: contava solo mazze di pietra, archi, frecce e giavellotti a punta di selce o bronzo, pugnale e scure in bronzo, e un grande scudo di pelle tesa dalla forma variabile (rettangolare, ovale o rotondo).

Più tardi, durante il Nuovo Regno, il corredo militare fu arricchito con armi apprese dall’Oriente tramite gli hyksos: daga, lancia, casco di cuoio, corazza di lino pressato. La grande novità di quel periodo fu il carro da guerra a due ruote raggiate, arrivato con gli hyksos, ma che gli egizi trasformarono rendendolo più leggero e quindi più veloce, pur rimanendo molto stabile. La cassa, solo sagomata, era formata da tondini di legno incurvati che si univano al fondo e sui fianchi, con piani di sostegno in legno e vimini intrecciati. Le ruote, anch’esse leggerissime, erano di legno incurvato, forse fasciate di cuoio, a quattro o sei raggi, alte poco meno di un metro, con mozzo di bronzo. Una lunga stanga permetteva l’attacco di due cavalli legati solo al pettorale e al collo, così da avere massima libertà di scarto. Il carro era montato da un auriga e da un combattente con arco, lancia e scudo.


LE FORTIFICAZIONI

Le fortezze, insieme ai templi e alle piramidi, costituiscono un altro grande capitolo dell’architettura egizia. Si trovavano già realizzate in epoca predinastica, nella forma di un muro rettangolare bastionato a difesa di insediamenti quali quelli di Ieracompoli e Abido, e vennero perfezionate più tardi, nel Medio Regno, per servire da difesa sulla frontiera meridionale e lungo la fascia di Suez.

Si trattava di opere grandiose e possenti: quando erano costruite in piano avevano pianta rettangolare, altrimenti seguivano a poligono i limiti dell’altura, come nel caso di Semna, nell’Alta Nubia. Erano formate da una massiccia, talora triplice, cinta muraria, con torri angolari e bastioni, fossati e terrapieni. Era sempre previsto un passaggio coperto per uscire a rifornirsi d’acqua. Non risulta che gli egizi conoscessero macchine d’assedio: l’espugnazione dei forti si faceva aprendo brecce con zappe nelle mura di mattoni crudi o superando le stesse con scale. Durante gli assedi, scudi ampi e arcuati riparavano gli attaccanti, sotto le mura, dagli arcieri avversari piazzati in alto.


LE SORTI DELL'ASIA MINORE IN MANO AGLI ITTITI E AGLI EGIZIANI

Verso il 1285 a.C. Ramses II, nel terzo anno di regno, mosse con un esercito di 20.000 uomini e poco più di 200 carri dalla base avanzata di Raphia in Palestina, fino alla valle del fiume Oronte, a circa 25 chilometri dalla città di Kadesh, città fortificata e principale roccaforte ittita, che aveva una grande importanza strategica per la sua posizione allo sbocco della Beqa’a, tra le catene montuose del Libano e dell’Antilibano.

L’esercito ittita di re Muwatalli era costituito da una formidabile coalizione che raccoglieva truppe dei regni confederati anatolici e dei principati vassalli dell’area sud-orientale e siriana: più di 10.000 soldati di fanteria e 3.500 carri da guerra con 10.500 uomini di equipaggio. I due avversari sapevano che il primo scontro sarebbe stato decisivo e che dall’esito della battaglia sarebbero dipese le sorti dei territori siropalestinesi e l’egemonia sull’Asia Anteriore. Questa di Kadesh è la prima battaglia della storia della quale sia stata tramandata la relazione precisa di tutte le sue fasi.


L'IMPERO INGHIOTTITO DAI PERSIANI

L’indebolimento del potere centrale nella Bassa Epoca, al quale si contrappose apertamente quello dei sacerdoti, consentì alle singole province di rendersi autonome e costrinse l’Egitto a subire il dominio straniero: prima quello degli assiri, poi, dopo un periodo di rinnovato splendore sotto i faraoni Amasi e Psammetico III (XXVI dinastia), quello dei persiani.

L’invasione persiana fu condotta dal re Cambise nel 525 a.C. e i persiani tennero il paese fino al 332 a.C., quando sull’Oriente salì la stella di Alessandro Magno. Ci fu solo un breve intervallo di quasi cinquant’anni (380-345 a.C.), in cui sovrani di stirpe egizia tornarono a governare da Sais, sul Delta. Nella sua nuova dimensione l'Egitto non rappresentava altro che una provincia del vasto impero persiano e, per questo, non è storicamente errato individuare proprio nell'invasione persiana l'evento che mise definitivamente fine alla splendida civiltà egizia. Infatti, anche se all'inizio i nuovi regnanti si dimostrarono rispettosi degli usi, delle tradizioni e dei culti locali, al solo scopo di assicurarsi l'appoggio popolare, col passare del tempo essi finirono inevitabilmente per manifestare intenzioni più consone a una potenza coloniale. Così, benché sul trono si succedessero sovrani di grande prestigio e di indubbie capacità (Dario I, Serse, Artaserse I, Dario II, Artaserse II fino a Dario III), non appena la potenza persiana si dimostrava in difficoltà, l'Egitto sistematicamente insorgeva contro gli invasori. Fu dunque con fiducia e entusiasmo che, non appena cominciò a delinearsi all'orizzonte il possibile arrivo degli eserciti di Alessandro Magno, gli egiziani guardarono al nuovo venuto come ad un autentico liberatore. Non furono delusi. Nel breve periodo della dominazione macedone (332-304 a.C.), infatti, i nuovi sovrani dettero prova di grande moderazione, rispettando usi e tradizioni locali, cercando di favorire lo sviluppo economico e culturale dell'Egitto e promuovendo una radicale ristrutturazione politica del regno.





fonte: www.fatinasexy.com
 
Top
0 replies since 10/11/2008, 00:19   53 views
  Share