L'ANTICO EGITTO - 5

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MartinMystere
view post Posted on 9/11/2008, 02:51




GLI ARNESI DA LAVORO

Gli strumenti da lavoro degli antichi egiziani sono giunti raramente fino a noi. Possiamo tuttavia ricostruirli attraverso le arti figurative. Alcuni rilievi mostrano infatti falegnami, scultori, fabbri e scalpellini intenti al lavoro e circondati dai loro utensili, che erano estremamente semplici.

Tra gli strumenti dello scalpellino e dello scultore vi erano accette, scalpelli di bronzo, mazzuoli di legno. Squadre e filo a piombo consentivano di definire la forma con precisione. Per dare lucentezza alla superficie, si passava sulla pietra un lisciatoio. Argani e corregge consentivano poi di sollevare i blocchi e le statue, con l’aiuto di piani inclinati. I falegnami non usavano chiodi ma piccoli pioli in legno ed i pezzi si incastravano così precisamente gli uni negli altri che la colla raramente era necessaria. Il blocco di legno veniva sbozzato con un’accetta di bronzo o tagliato con una sega, quindi rifinito con una pialla; le sagomature più elaborate venivano, invece, eseguite con il trapano ad archetto. L’oggetto finito era quindi levigato con polvere abrasiva e infine stuccato. Nelle pitture parietali è possibile vedere i fonditori seduti intorno alla loro fucina, mentre soffiano con dei tubi sui carboni per ottenere il grado di calore necessario alla fusione del metallo. I mantici infatti vennero introdotti solo nel Nuovo Regno.


LA LAVORAZIONE DEL VETRO

La lavorazione del vetro è attestata in Egitto sin dal IV millennio a.C. Gli egizi scoprirono che, mescolando sabbia ricca di notevoli quantità di quarzo e acido silicico puro in forma cristallina con il sodio (che ricavavano dalle ceneri delle alghe) e gli alcali calcarei, e scaldando il tutto alla temperatura di ottocento gradi, era possibile ottenere una pasta di vetro (faïance).

Questa pasta, viscosa e di rapido indurimento, si lasciava formare in perline, in bottigliette (sopra un nucleo d’argilla) o anche in recipienti elegantemente modellati. Il vetro fuso poteva essere anche colato in uno stampo a parallelepipedo, e, una volta raffreddato, poteva essere molato come un blocco di pietra, oppure modellato nella forma desiderata con il sistema della cera persa. Nella seconda metà del II millennio era già usata la tecnica del mosaico, mentre in epoca tarda divennero famosi i cosiddetti "vetri millefiori". Questi erano ottenuti da barrette o canne di vetro di diverso colore, disposte a forma di fiore, assottigliate e tagliate a tessera, e che, una volta riscaldate in uno stampo per farle saldare tra loro, venivano levigate a freddo. I fenici, appreso dagli egizi il processo di fabbricazione del vetro, lo sfruttarono a fini industriali, supportati dalla loro formidabile rete commerciale. Il vetro dei fenici era più prezioso di quello egiziano perché, dopo una serie di lunghi tentativi, essi riuscirono a migliorarlo in maniera inaspettata: a Tiro, ma soprattutto a Sidone, sorsero officine dai cui forni uscì il primo vetro trasparente della storia, che, probabilmente, i fenici riuscirono anche a soffiare.


L'ARREDAMENTO

Nelle case più povere, il mobilio si limitava ad alcune panche, un baule in legno, e stuoie con un poggiatesta per dormire. Nemmeno le dimore signorili, tuttavia, richiedevano un arredamento complesso.

La cucina disponeva di solito di un braciere, di un forno in muratura e di ceste e orci per contenere le vivande. Ma neanche il soggiorno aveva un mobilio elaborato. Gli egizi infatti non amavano le grandi tavolate; si mangiava seduti su stuoie, apparecchiando su tavolini bassi per una sola persona o al massimo due. Più elaborati erano i seggi, riservati ai funzionari nell’atto di svolgere le loro funzioni o ai personaggi di rango quando davano udienze. Sono noti sia sedili pieghevoli senza spalliera, dalle gambe a X, sia veri e propri troni con spalliera e braccioli. Gli esemplari di maggior pregio, come quelli rinvenuti nelle tombe regali, erano realizzati in legno raffinatamente sagomato, con intarsi in oro e pietre preziose. Altrettanto importante era il letto, sostenuto da un telaio in legno e cuoio e fornito di poggiatesta. Quest’oggetto era formato da due gambe a X o da un unico stelo che sosteneva un piano incurvato su cui si poggiava la testa per dormire. Nonostante l’apparente scomodità, il numero di tali oggetti in tutti i musei attesta che erano molto graditi dagli antichi egiziani. Cofanetti e bauli contenevano gli abiti e gli oggetti da toilette.


L'ABBIGLIAMENTO

L’indumento maschile più comune era il perizoma, dalla vita alle ginocchia, di forme diverse a seconda delle epoche: aperto o chiuso sul davanti, con una sorta di grembiule a pieghe e una punta sporgente. In particolare nelle classi agiate, il perizoma si accompagnava spesso a una larga camicia e a una specie di mantello.

Gli dei erano abbigliati allo stesso modo dei faraoni. Con il passare del tempo, l’indumento si complicò fino ad allungarsi, ampliarsi e coprirsi di sempre un maggior numero di pieghettati, sbuffi e spacchetti. Le donne portavano una veste lunga, molto aderente, chiusa sotto il petto. Le dee erano vestite allo stesso modo: esattamente come le donne delle classi agiate, esse portavano abiti leggeri e diafani, che lasciavano intravedere le forme in modo anche un po’ impudico. Esistevano anche abiti legati alla funzione sociale di coloro che li portavano. Il visir, per esempio, indossava un lungo abito che saliva fino a sotto le ascelle. Certi sacerdoti portavano una stola durante le cerimonie, mentre altri si vestivano di una pelle di leopardo. Nell’età più antica, uomini e donne camminavano a piedi nudi. Talvolta i dignitari calzavano dei sandali che, invece, vennero portati più comunemente durante il Nuovo Regno. Semplici sandali con la suola di cuoio o di papiro intrecciato sono stati ritrovati, spesso molto ben conservati, in tombe sia ricche che povere.


LE ACCONCIATURE

Gli egiziani assegnavano grande importanza alla cosmesi e alla pulizia personale. I benestanti avevano in casa una stanza da bagno, ma anche i poveri non rinunciavano a lavarsi almeno una volta al giorno, usando cenere o argilla come detergente.

Nelle tombe si sono rinvenuti numerosi utensili da toeletta: specchi, rasoi, tavolozze e spatole da ombretto e vasetti di kajal. Particolarmente importante era la cura dei capelli. Benché nelle occasioni ufficiali gli antichi egiziani indossassero una parrucca, non rinunciavano a tenere sani e puliti i capelli naturali. La parrucca infatti non li copriva completamente: i ritratti mostrano spesso una frangia liscia che spunta sotto una parrucca a treccioline. Le parrucche erano realizzate in capelli naturali o in fibre vegetali e quelle delle regine erano talvolta ornate da piume di avvoltoio. Esse venivano ornate anche di nastri e gioielli e cosparse di profumo. Il faraone sopra la parrucca indossava il caratteristico copricapo detto nemes, formato da un tessuto a righe azzurre e dorate, che ricadeva con due lembi sulle spalle. Sulla fronte portava un diadema a forma di cobra, l’uraeus. I sacerdoti si rasavano completamente il capo per ragioni di purezza rituale. Anche i bambini venivano rasati, eccetto una treccia che dalla tempia destra ricadeva sulla spalla.


I GIOIELLI

L’oreficeria egiziana raggiunse una notevole perizia. Gli orafi si specializzarono nelle varie tecniche della lavorazione dell’oro (filigrana, laminatura, sbalzo), ma i gioielli egiziani sono famosi soprattutto per la loro policromia, ottenuta attraverso l’inserzione di pietre dure, quali la corniola e il lapislazzuli.

Si praticava inoltre la tecnica del niello, consistente nel riempire apposite incassature con smalto o pasta vitrea colorata. Sia gli uomini che le donne di rango indossavano il collier detto usekh, composto da più giri di perle, o le catenine d’oro a cui erano sospesi numerosi pendenti. Le donne portavano inoltre numerosi braccialetti ai polsi, sulle braccia e alle caviglie. Un segno di distinzione era l’anello a sigillo, il cui ampio castone recava inciso il nome del proprietario oppure formule beneauguranti. Come le pitture tombali, anche i gioielli rispondevano ad un gusto naturalistico: decorazioni floreali, figure di animali reali e fantastici decoravano ornamenti personali e amuleti. Durante la XIX, la XX e la XXI dinastia, il gusto divenne meno raffinato e i gioielli apparvero più "pesanti", con applicazioni di vetro e faïence ovunque, incastonature e placcature. Comparvero, inoltre, gli orecchini, seguiti dagli anelli. Esistevano numerose tecniche di decorazione, di filigrana, d’incastonatura, di colorazione e trattamento dei metalli; lo studio di queste tecniche ha influenzato molto quelle della gioielleria moderna.


IL MOTO PERPETUO DELL'ANIMA

Poiché il mondo era stato creato dalla forza vitale dell’universo, all’ordine e all’armonia lo spirito eterno doveva tornare quando il suo percorso terreno giungeva al termine.

Sia il racconto sacro che fa morire e poi rinascere Osiride, sia la quotidiana vicenda del dio-sole che al tramonto è sopraffatto dalle tenebre ma il giorno dopo risorge trionfante, rappresentavano per gli egizi la garanzia della fede nella sopravvivenza dell’anima dopo la morte. Tuttavia, perché ciò avvenisse, l’anima aveva bisogno che il corpo non si corrompesse o si disperdesse. Di qui la volontà di preservare il cadavere mediante la mummificazione, le pratiche di sepoltura, le tombe. Nei tempi più antichi, una vera vita oltre la morte era considerata privilegio del faraone e i sudditi speravano che l’immortalità del sovrano si riflettesse in qualche modo su di loro. Più tardi, alla fine dell’Antico Regno, la sopravvivenza diventò un diritto di tutti coloro che potevano disporre di una tomba e permettersi i riti funebri.


LE MUMMIE: IL CORPO COME INVOLUCRO ETERNO

Non ci sono illustrazioni né iscrizioni che ci informino sul procedimento di mummificazione. La descrizione fattane da Erodoto sembra comunque piuttosto attendibile. Le tecniche di mummificazione sono antiche quanto l’Egitto e subirono nel tempo vari processi di perfezionamento. Lo storico greco Erodoto (V sec. a.C.) ne descrive sommariamente alcune.

"Essi estraggono in primo luogo il cervello attraverso le narici per mezzo di un uncino di metallo. Poi, con un coltello, eseguono un’apertura vicino all’anca, estraggono tutti gli intestini, puliscono l’addome sciacquandolo con vino di palma e spezie tostate. Riempiono quindi l’addome con mirra pura macinata, cassia e altre spezie a eccezione dell’incenso; poi, cuciono l’ano. Fatto ciò, pongono il corpo nel salnitro per settanta giorni; è questo il tempo necessario per l’imbalsamazione. Passati i settanta giorni, lavano il corpo e lo avvolgono interamente in fasce di lino spalmate di mastice. Restituiscono quindi la spoglia ai parenti del defunto. Questi costruiscono una figura in legno cava, a forma umana nella quale pongono il corpo; poi la chiudono e la conservano in un sarcofago appoggiato ritto contro il muro". Esistevano, come spiega Erodoto, anche soluzioni meno care: ‘‘Gli imbalsamatori riempiono le loro siringhe di olio di cedro e ricolmano l’addome del morto, senza praticare alcuna incisione, iniettando semplicemente il liquido attraverso l’ano e assicurandosi che non esca. In seguito imbalsamano il corpo per il numero di giorni prescritto. L’ultimo giorno, lasciano uscire l’olio che avevano iniettato; questo olio è così forte che porta via con sé tutte le interiora e gli intestini di sotto, cosicché alla fine non rimangono che la pelle e le ossa.


ELEMENTI DI VITA

Gli egizi ritenevano che la vita umana comprendesse diversi elementi, la cui sopravvivenza avrebbe assicurato l’immortalità.

Il ka (rappresentato da una coppia di braccia levate su una figura umana) era uno spirito doppio, creato al tornio nel momento della nascita da Khnum, il dio creatore, e fisicamente simile al proprietario. Durante la vita di una persona il ka poteva uscire dal corpo durante il sonno e poteva anche provocare danni al proprietario. Alla morte abbandonava il corpo e viaggiava nel mondo sotterraneo per incontrare Osiride, il dio dei morti, e essere giudicato. Ogni mattina ritornava nel mondo dei vivi, al sorgere del sole, e veniva guidato alla tomba da dipinti, statue e dalla mummia. Qui riceveva dal sacerdote funerario offerte di cibo e bevande. La forza vitale impersonale dell’uomo era invece il ba, rappresentato da un uccello con testa umana che poteva avere braccia o ali. Il ba abbandonava il corpo al momento della morte e diventava così libero di lasciare la tomba e di ritornarvi, appollaiandosi sul corpo. Il corpo era quindi necessario al ka per identificarsi e al ba per appollaiarsi: l’eterna sopravvivenza di entrambi dipendeva quindi in primo luogo dalla conservazione del cadavere. Altri aspetti dell’essere umano erano l’Akh, la "forma splendente", che uno spirito assumeva dopo la morte se aveva avuto soddisfacente sepoltura; l’Ombra, senza la quale, in una terra in cui brillava il sole, nessun essere umano poteva esistere; e il Nome, la cui frequente ripetizione assicurava il ricordo del defunto.


LA STORIA DELLA MUMMIFICAZIONE

La prima conservazione di resti umani in Egitto deve essere avvenuta casualmente. Nei cimiteri dell’epoca predinastica, costituiti da fosse poco profonde dove i defunti venivano deposti in posizione fetale, il clima molto caldo e secco faceva essiccare naturalmente i corpi, ma non si sa se la sopravvivenza nell’aldilà fosse intrinsecamente collegata alla loro conservazione.

Quando i corpi cominciarono ad essere deposti in tombe con coperture artificiali, inizialmente venivano avvolti in bende di lino e ricoperti di gesso compresso e levigato perché prendesse la forma del corpo sottostante; quando il gesso era asciutto, il guscio esterno veniva dipinto (spesso di verde, colore della rinascita) e al viso erano dati i lineamenti del defunto. Durante il Medio Regno la tecnica di mummificazione si affinò per raggiungere i suoi risultati migliori e definitivi nel Nuovo Regno. Ci furono, in epoca tarda, anche inutili tentativi di ridare al corpo le sue naturali caratteristiche con imbottiture di lino e altri materiali, ma la decomposizione di questi supporti provocò proprio quello che gli imbalsamatori cercavano di evitare. Anche i greci e i romani ricorrevano alla mummificazione: centinaia di metri di lino piegato e tinto avvolgevano tutto il corpo con una complessa bendatura definita a forma di diamante; l’immagine del defunto veniva riprodotta su una tavoletta dipinta con una pittura a base di cera. Quando il cristianesimo si diffuse in Egitto, la mummificazione fu a poco a poco abbandonata.




fonte: www.fatinasexy.com
 
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