L'ANTICO EGITTO - 2

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MartinMystere
view post Posted on 8/11/2008, 23:54




IL REGNO DEGLI HYKSOS

La fine del Medio Regno coincide con il Secondo Periodo Intermedio (1640-1550 a.C.) e viene innescata da una nuova fase di anarchia, culminata in una serie di rivolte dei governatori provinciali contro il potere centralizzato dei faraoni.

Da questa difficile situazione traggono profitto gli hyksos, certamente di origine asiatica, forse provenienti della Siria, il cui nome deriverebbe dal termine Hekakhasut, "governatori dei paesi stranieri". Questo popolo bellicoso, che disponeva di carri da guerra totalmente sconosciuti agli egiziani, di armi innovative e potenti, di tecnologie assai avanzate per l’epoca, sfida il potere del faraone: attraversato il Sinai settentrionale, gli invasori raggiungono il Delta e da qui, dove stabiliscono alcune roccaforti, scendono verso sud, distruggendo e depredando, finché non si assicurano il potere. Astutamente però, si uniformano da subito alle strutture e ai costumi già affermati in Egitto: dopo aver stabilito la propria capitale ad Avaris, danno così vita a dinastie proprie (la XIV e la XV), continuando ad adorare Ra di Eliopoli e identificando Seth con il dio orientale Baal. In questo modo riescono a legittimare il proprio potere agli occhi dei sudditi, che però continuano ad essere tenuti a bada col terrore. Una situazione estremamente difficile dunque, in cui l’Egitto continuerà a dibattersi fino all’avvento dei sovrani del Nuovo Regno.


IL NUOVO REGNO

La feroce epopea degli hyksos comincia ad offuscarsi quando contro questi usurpatori del potere faraonico prende a delinearsi, sempre più potente, una nuova dinastia. Per la verità, la XVI e la XVII dinastia altro non sono che stirpi anche cronologicamente parallele alla XIV e alla XV.

I loro prìncipi, legittimi per origine, continuano a regnare su Tebe, non riconoscendo il potere degli hyksos, e anzi opponendosi per quanto possibile alla loro tracotante superbia. Figure come Seqenenre Tao I, detto il Vecchio, e Seqenenre Tao II il Coraggioso si distinsero in questo. Ma fu il principe tebano Kamoses a prendere per primo, nel 1555 a.C., una concreta iniziativa bellica per liberare l’Egitto. Appena 5 anni dopo suo fratello Amosi sconfiggeva definitivamente gli hyksos e saliva al trono faraonico come capostipite della XVIII dinastia. Si inaugurava così, in maniera assolutamente trionfale, il Nuovo Regno (1550-1070 a.C.), che avrebbe visto succedersi la XVIII, la XIX e la XX dinastia.
Fu un’epoca di incomparabile splendore per tutto l’Egitto. L’esperienza terribile della dominazione straniera aveva lasciato nella popolazione e nei suoi sovrani un inappagabile desiderio di sicurezza, che li avrebbe spinti per secoli verso un continuo tentativo di conquista dei paesi confinanti. Un espansionismo tanto pronunciato favorì però anche i contatti con gli altri popoli e di conseguenza pure gli scambi commerciali. Così nella terra dei faraoni continuarono a giungere per decenni e in grandi quantità gli splendidi tesori conquistati in battaglia, i tributi degli stati vassalli e le merci preziose dei mercanti, che con le loro carovane cominciavano a percorrere le piste del deserto. Tanta opulenza ebbe in breve tempo ben visibili ripercussioni: la capitale Tebe, crebbe e si ammantò di una magnificenza architettonica senza precedenti; i templi di Amon, divinità che si andava affermando come la principale del pantheon egizio, traboccavano di offerte e di tesori; la popolazione cresceva insieme all’economia. Una così generalizzata ostentazione di potenza finì però per risvegliare sopiti interessi: la ricchezza dei sacerdoti di Amon, protetti dai primi sovrani della XVIII dinastia, finì per provocare scontento fra le schiere degli aristocratici, che caldeggiarono la rivoluzione religiosa di Amenofi IV, culminata nell’affermazione del culto del dio Aton. La rivincita di Amon costituì il preludio all’avvento della XIX dinastia (1307-1196 a.C.), celebre per i suoi sovrani bellicosi che si spinsero in cerca di conquiste contro siriani, libici e ittiti. In onore del dio Amon si innalzavano templi maestosi, come quello celeberrimo di Karnak, per costruire i quali non si esitava a distruggere edifici altrettanto magnifici, riutilizzandone i materiali. Intanto l’Egitto estendeva la propria influenza fin oltre i confini della Mesopotamia. Solo una sempre più diffusa corruzione (inevitabile in presenza di una tanto imponente ricchezza), unita ad una serie di terribili eventi naturali (terremoti, carestie, epidemie, sconvolgimenti climatici), fu capace di minare alle fondamenta la potenza dei faraoni del Nuovo Regno che, con la fine della XX dinastia (1196-1070 a.C.), conobbe un inarrestabile declino.


I SACERDOTI, IL CORPO POLITICO DEL DIO-RE

Tra i grandi dell’apparato burocratico c’erano anche gli appartenenti all’alto clero che avevano la delega del faraone a celebrare i riti.

In Egitto, infatti, il primo sacerdote era il faraone. Da esso dipendeva la numerosa schiera dei sacerdoti, che celebravano i riti in onore delle varie divinità. All'interno del clero esisteva una rigida gerarchia e una precisa suddivisione dei compiti. In ogni santuario vi era un sacerdote-capo, detto "profeta", che officiava i riti come rappresentante del faraone. Il clero minore era costituito dagli uebu, i ‘‘puri", addetti alla manutenzione degli oggetti sacri e del tempio. Esisteva anche un personale femminile, le uebuit, dirette dalla regina. L'alto clero gestiva grandi patrimoni; i santuari riscuotevano infatti tributi dal popolo e possedevano terre. Già durante il Nuovo Regno i sacerdoti di Amon a Tebe esercitavano una forte influenza politica e a partire dalla XXI dinastia, intorno al 1000 a.C., essi costituirono, nell'Alto Egitto, un loro regno indipendente.


I MINISTRI NEL SEGNO DEL COMANDO

I funzionari di più alto livello, capi di dicastero o, come diremmo oggi, ministri, erano i mer "coloro nei quali è la bocca" (cioè in grado di comandare). Erano controllati da ispettori del re o del visir.

A occuparsi dei distretti (nòmoi), ossia delle circoscrizioni corrispondenti ai nuclei territoriali che oggi chiameremmo province, stavano i governatori, nominati direttamente dal faraone, ma scelti sul posto e revocati a suo piacere. Li affiancava un referendario che, alla periferia, aveva la stessa funzione esercitata al centro dal visir. Nell’Alto Egitto le province furono sempre 22, mentre nel Basso Egitto il loro numero variò, nel tempo, da 13 a 17. Governatori con poteri speciali di polizia amministravano le Oasi Occidentali, soggette alle scorrerie dei libi. Questi erano scelti tra i militari di rango, che di rado accrescevano il loro prestigio dal momento che, fino all’epoca del Nuovo Regno, l’Egitto, protetto dal mare e dai deserti, raramente dovette combattere per difendersi.


L'ORDINAMENTO DELLO STATO

Lo stato egiziano aveva una struttura centralizzata e piramidale. La detenzione del potere era ben salda nelle mani del re o faraone.

Egli tracciava le linee di condotta del governo o promuoveva le iniziative dello stato, ma demandava gran parte del potere esecutivo al visir, capo di un’amministrazione efficientissima, che scorgiamo già raffigurato nella Tavolozza di Narmer in atto di porgere i sandali al suo signore. Il visir era coadiuvato dai responsabili dei principali settori che costituivano la classe più alta dei funzionari. Essi agivano come delegati del re, fonte vivente del diritto, e ne interpretavano le volontà, irradiandola su tutto il paese attraverso funzionari locali che amministravano la giustizia, l’economia e le finanze, l’agricoltura, la realizzazione delle grandi opere ecc. È sorprendente il senso della gerarchia e del lavoro presente nell’Egitto dei faraoni. I funzionari di ogni ordine e grado rispondevano con fedeltà e sollecitudine ai loro superiori ed esercitavano il potere sui sottoposti con giusto criterio. Il regime sociale dello stato egiziano era fluido, permetteva cioè il ricambio continuo della categoria dirigente o della classe dominante con un afflusso dei più capaci, anche provenienti da classi inferiori. Il ricambio avveniva lentamente, senza rivoluzioni o scosse politiche, per consentire ai nuovi dirigenti di apprendere le capacità e le facoltà dei predecessori.


GLI SCRIBI

Accanto agli alti funzionari che condividevano il potere del faraone, nella misura in cui il potere assoluto e divino può essere condiviso, si schieravano i quadri burocratici inferiori ed esecutivi: gli scribi.

La classe degli scribi, abbastanza numerosa e rispettata, è tipica dell’Egitto perché nessun’altra civiltà antica ebbe un’amministrazione altrettanto articolata. Non tragga in inganno il nome: certo gli scribi avevano frequentato a lungo la scuola per apprendere le complicate scritture egizie ed i meno fortunati tra loro avrebbero passato la vita a scrivere sotto dettatura agli ordini di un funzionario di grado più elevato, ma altri erano investiti di responsabilità più ampie e intervenivano in tutte le sedi della vita associata. Erano presenti negli uffici delle amministrazioni centrali e periferiche, sui campi a compiere misurazioni, a censire il bestiame, o misurare i raccolti, alle frontiere a controllare i traffici e gli stranieri e, dovunque, a riscuotere le imposte. Dalla precisione e dalla competenza del loro lavoro poteva dipendere la sopravvivenza stessa del popolo. Infatti loro compito non era solo quello di censire e calcolare le ricchezze acquisite, ma dovevano prevedere le annate cattive, quando le piene troppo violente o troppo deboli potevano causare carestie, allestendo e mantenendo le scorte.


IL PANE DELLA SOLIDARIETA'

Tutto il territorio dell’Egitto e le ricchezze che esso produceva appartenevano al faraone che doveva assicurare a tutti i sudditi sussistenza, sicurezza e possibilmente, benessere.

Poiché la Regola di Maat esigeva che reciprocità, solidarietà e responsabilità regolassero anche la vita economica, essa funzionava secondo un sistema di distribuzione che aveva il suo centro motore nel tempio. In ogni regione, i beni prodotti, sia agricoli che artigianali, erano portati nel tempio principale, inventariati e immagazzinati dagli scribi sacerdoti e quindi ridistribuiti fra la popolazione. In cambio della giusta e attenta distribuzione delle derrate e dei prodotti che entravano sotto il loro controllo, i templi erano esonerati dal faraone da un certo numero di tasse. Tuttavia la proprietà privata esisteva e consisteva in piccole aziende agricole e in botteghe artigiane, entrambe a conduzione familiare, i cui mezzi di produzione (capi di bestiame, attrezzi, barche per la pesca) venivano censiti e tassati annualmente. Il commercio interno avveniva sotto forma di baratto, in base a un valore astratto che veniva attribuito a ogni cosa. Il denaro cominciò a circolare solo in epoca tarda e fu introdotto dai greci.


I SEGRETI DELL'ARTE QUOTIDIANA

La popolazione non dedita all’agricoltura svolgeva lavori artigianali, ma l’artigianato, pur fiorente (oreficeria, ceramica, suppellettili), soddisfaceva in prevalenza la domanda interna, mentre il grande commercio e il commercio con l’estero erano monopolio di stato ed erano gestiti quindi dal faraone.

Difficilmente un artigiano poteva dunque permettersi di lavorare in proprio e di solito era alle dipendenze dello stato o del tempio, dai quali riceveva pagamenti in natura (derrate alimentari, vesti, sandali, sale) e servizi di prima necessità (alloggio, utensili e attrezzi di lavoro, cure mediche, sepoltura). Anche se gli artigiani si tramandavano la loro esperienza, i loro segreti e le loro tecniche di padre in figlio, erano soliti accogliere anche apprendisti che non appartenevano al loro ambito familiare. Come si può vedere nella Satira dei Mestieri, i giovani egizi erano liberi di scegliere un lavoro secondo le proprie inclinazioni, anche se li si metteva in guardia contro le difficoltà che li attendevano nei vari mestieri. Fino alla IV dinastia gli artigiani vennero impiegati prevalentemente nella costruzione delle grandi piramidi, ed in seguito durante la V, nei cantieri templari. Erano cavapietre, scalpellini, falegnami, carpentieri, fonditori, scultori, stuccatori, pittori; essi conoscevano i segreti della lavorazione di tutti i tipi di pietra, dal granito, all’arenaria, all’alabastro, e di ogni tipo di legno e di metallo, anche se non ancora del ferro. Con la VI dinastia, però, cessò quasi completamente l’attività edilizia, che per più di due secoli e mezzo aveva impegnato 50 generazioni di artigiani.
Raccolti nella capitale e privi di un sistema sociale che assicurasse lavoro e sostentamento, nel 2260 circa, gli artigiani diedero il via a una rivolta sociale, la prima della storia, che contribuì all’indebolimento del potere e all’anarchia del Primo Periodo Intermedio.


SCHIAVI O LAVORATORI IN REGOLA?

Torme di schiavi assetati muovono giganteschi blocchi di pietra e schiene annerite dal sole e piagate dalle fruste si curvano nello sforzo immane; talvolta qualcuno cade sfinito dalla fatica per non rialzarsi mai più, mentre le gigantesche piramidi vengono innalzate lentamente...

Queste immagini, trasmesseci dai giganteschi affreschi "storici" dai colossal hollywoodiani o dai romanzi popolari ambientati nell’antico Egitto, sono assolutamente false, anche se - per ragioni molteplici - hanno resistito a lungo nella nostra cultura. In realtà, i costruttori delle piramidi o dei templi erano operai regolarmente assunti e che percepivano un giusto salario in natura, come tutti gli altri lavoratori, artigiani e contadini che prestavano la loro corvé. La schiavitù, intesa come assenza totale di diritti legali, non esisteva in Egitto, dove tutto nella vita economica doveva svolgersi secondo i concetti di ordine e armonia sociale e di reciprocità e solidarietà. Talvolta poteva succedere che alcuni lavoratori venissero ceduti o affittati dai proprietari terrieri o dai templi, ma si trattava di uomini costretti dall’estrema miseria a uno stato di "servitù" né definitivo né ereditario: essi non furono mai considerati come cose o come macchine. Anche quando, durante il Nuovo Regno, gli egizi intrapresero guerre di conquista, i prigionieri catturati venivano presto integrati nella vita economica del paese.


MA PER LA BIBBIA GLI EBREI IN EGITTO ERANO SCHIAVI

Gli israeliti, entrati in massa in Egitto come altri popoli asiatici al tempo degli hyksos, erano di mentalità, cultura e religione diverse da quella degli egizi. Si dedicavano alla pastorizia e al commercio e non si inserirono mai nella società del paese che li ospitava.

Quando lo stato chiese anche a loro di sottoporsi alle corvés, opera che da millenni prestavano gli stessi cittadini egizi, si sentirono trattati da schiavi e come tali vengono definiti nella Bibbia. Del resto la reale situazione del popolo biblico viene dalla sua stessa voce: "Perché non siamo morti per mano dell’Eterno nel Paese d’Egitto, quando eravamo seduti presso marmitte di carne, quando mangiavamo pane a sazietà?" (Esodo, 16.3). Non sembra davvero il grido di libertà di uno schiavo.


I CONTADINI, MAGHI DELLA SOPRAVVIVENZA

I contadini potevano essere lavoratori autonomi oppure soggetti a un proprietario; in questo caso venivano anche ceduti o affittati, ma non perdevano i loro diritti di uomini liberi. Chi era padrone del proprio campicello, sul quale sorgeva anche una modesta dimora, pagava un tributo in natura, debitamente calcolato dagli scribi in base all’estensione, alla produttività, alla presenza di animali da cortile o da lavoro, di piante da frutto e di canneti.

Chi lavorava la proprietà altrui (degli alti funzionari, ma più spesso del faraone e dei templi, che erano i maggiori detentori di proprietà fondiarie), aveva assicurati i bisogni essenziali e l’assistenza quotidiana. I contadini dovevano procurare al paese il frumento per il pane e l’orzo per la birra, le carni per la mensa, il lino per i tessuti, il papiro per le barche o come materiale scrittorio. Avevano a loro disposizione utensili semplici ma efficaci, come la marra, una sorta di zappa corta di legno per rimuovere il terreno, e l’aratro leggero. La fatica del loro lavoro era infatti notevolmente alleviata dalle benefiche inondazioni del Nilo, che lasciava sui campi il limo fertilizzante che non occorreva incidere in profondità. Ma nei mesi in cui il lavoro agricolo poteva essere interrotto i contadini erano obbligati a prestazioni personali nei cantieri delle grandi opere volute dal faraone (canalizzazione, costruzione di templi e piramidi). Autonomi o sottoposti che fossero, i contadini avevano al loro attivo la sicurezza dai pericoli esterni e un’alimentazione un po’ al di sopra dei livelli di sussistenza, la partecipazione ai riti sacri e la speranza di poter migliorare la condizione sociale dei propri figli.




fonte: www.fatinasexy.com
 
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