AL SUPERMERCATO, vietato ai minori di 18 anni

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misterMistery
view post Posted on 31/10/2008, 00:57




AL SUPERMERCATO

Osservo con curiosità i volti delle persone che si accalcano con i carrelli della spesa davanti all’ingresso dell’ipermercato. Sono tesi, inquieti, forse hanno fretta d'entrare, penso. Alle 9.00, dopo la messa in attività delle scale mobili, le porte a vetri del centro commerciale si spalancano. Uomini e donne si proiettano con i carrelli della spesa lungo il corridoio centrale dell'ipermercato scrollandosi di dosso il torpore in cui parevano mummificati e, da automi inanimati, si trasformano in esseri animati urtandosi con i carrelli come fossero sull’autoscontro del Luna Park.
L’ipotesi più probabile, penso, è che la gente sia consapevole di condurre una esistenza tribolata, forse anche inutile. L’ipermercato, al contrario, con le sue offerte mirabolanti, si propone come un invito a rincorrere nuovi sogni, proprio quello di cui la gente ha bisogno. Sì, deve essere così, ma perché a me non succedete? Forse è perché ho smesso di sognare da tempo.

Mi muovo con il carrello della spesa fra le corsie occupate da sfilze di merci dalle confezioni miracolose. Non mi lascio corrompere dai cartelli che indicano il ribasso del prezzo di alcuni prodotti, cartelli messi apposta in bell’evidenza dalla direzione commerciale dell'ipermercato per incentivarne l’acquisto. Osservo le merci e intanto penso.
Penso che dovrei riorganizzare la mia vita e scegliere fra le cose che considero importanti quelle a cui dare priorità e concretizzarle. E invece non ci riesco. Forse ho troppe cose da fare ed altrettante a cui pensare. Ma avrei anche da studiare e tanto, se voglio laurearmi per tempo, e questa è una delle priorità, anzi, dovrei metterla al primo posto; davanti a tutte le altre, penso.
Dovrei rispolverare i miei sogni, se mai li ho avuti, perché il dubbio di non averne mi sorge sempre più spesso. Dovrei dare ascolto ai miei pensieri e riportare alla luce l’essenza più intima di me stessa rimasta sopita per troppo tempo. Il fatto è che ho poca considerazione di me stessa e questo è un grande difetto, lo so.
Sono una donna troppo semplice, priva di grilli per la testa. Infatti, non ha mai avuto grandi aspirazioni, solo quella di laurearmi, formare una famiglia, allevare dei figli, possedere una bella casa, andare spesso in vacanza, cucinare cose buone… ma è forse un errore tutto questo?
In questo periodo mi sento fragile e vulnerabile. Mi sto destabilizzando e la cosa non mi fa piacere. Il fatto è che non so più dove sta andando la mia vita e sono stanca; stanca di vivere in questo modo. Ho un moroso a cui sono legata da un paio di anni e vedo regolarmente, scopiamo spesso, e trascorriamo molto tempo insieme senza mai asfissiarci, eppure tutto questo non mi basta per essere felice e non so farmene una ragione.

Raggiungo le scansie dei vini e mi metto a controllare le etichette delle bottiglie sistemate nei ripiani. Indecisa fra una bottiglia di lambrusco Grasparossa e una di chianti, scelgo di mettere nel carrello della spesa tutt’e due le bottiglie unitamente a una confezione di sei bottigliette di birra messicana.
Mi sposto fra le scansie e di seguito ripongo nel carrello una confezione di Nutella, una di fette biscottate, una torta alla crema di cacao del Mulino Bianco, due sacchetti di patatine, tre barattoli di semi di soia e uno di mais, infine tre mozzarelle di bufala augurandomi che le cose che ho acquistato siano sufficienti per sfamare il gruppo di amiche, nonché compagne di università, che stasera verranno a cena a casa mia.
Ai banchi della frutta mi cade l’occhio su una cassetta di uva bianca di un paio di chili, avvolta nel cellophane, e non resisto alla tentazione di riporla nel carrello della spesa. Lo stesso accade quando scorgo un canestro colmo di angurie, così decido di prelevarne una non troppo grossa, perlomeno questo è ciò che penso. Soltanto quando la sistemo sul piatto della bilancia mi accorgo che pesa nove chili. Stampo l’etichetta con il prezzo, l'appiccico sulla scorza, e metto il frutto nel carrello.

Ho impiegato poco più di mezzora per concludere la spesa. Mi guardo intorno e ciò che vedo sono i visi compiaciuti di uomini e donne con i carrelli colmi di merce e di sogni. Io, al contrario, non vedo l’ora di raggiungere una delle casse per pagare la merce e uscire da qua.
Quando è il mio turno trasbordo la merce dal carrello al nastro trasportatore senza distogliere lo sguardo dal volto della cassiera impegnata nel fare scorrere, in maniera meccanica, i codici a barre delle merci sul lettore ottico, e contrariamente a quello che sono portata a pensare il volto della donna non mostra alcun segno d’insofferenza per il lavoro ripetitivo che fa.
- Sono cinquantadue euro e dieci centesimi. - mi informa mentre mi sbrigo a raccogliere dentro un paio di sacchetti di plastica la merce che si è accumulata nella parte inferiore del bancone. Infine mi premuro di posare nel carrello le bottiglie di vino, la cassetta dell’uva e il cocomero.
Prelevo un biglietto da cinquanta e uno da dieci euro dal portafoglio e glieli porgo. La cassiera si premura di consegnarmi lo scontrino fiscale congiuntamente a un sorriso e alle monete del resto. Mi affretto a ritirare il denaro, dopodiché mi ritrovo a spingere il carrello nella corsia che conduce all’uscita dell’ipermercato.

A luglio ho sostenuto ben tre esami universitari. E' stato un mese orrendo in cui ho patito uno stress indicibile, infatti, non sono riuscita a rilassarmi nemmeno nei giorni successivi l’ultima prova d’esame. Infine sono riuscita a rimettere in moto certi meccanismi di difesa decisa a togliermi di dosso il lardo (otto chili) accumulato durante i mesi estivi, simbolo del sacrificio intellettuale a cui mi sono sottoposta per prepararmi al meglio agli esami.
A inizio agosto ho ricominciato a correre per i sentieri sterrati del Parco Ducale. I primi giorni non avevo fiato ed ho faticato tantissimo, ma poco per volta ho ricominciato a prenderci gusto a correre, così dopo tante settimane trascorse a capo chino sui libri mi è tornata la voglia di vivere, di rivedere le mie amiche, seppure asfissianti con i loro stupidi problemi, ma comunque a me tanto care. Stasera passerò la serata insieme a loro e ne sono felice perché sono tornata ad essere me stessa ed era da tanto che lo desideravo.

Il bancone interminabile dell’Oliver Bar è illuminato da grappoli di globi luminosi che diffondono una luce olivastra. Gli sgabelli a trampolo, fissati al pavimento, sono tutti occupati da sagome umane meno uno. Indugio prima di decidermi ad abbandonare il carrello della spesa e avvicinarmi al bancone. Ma ho un buco allo stomaco e desidero mettere al più presto qualcosa sotto i denti.
Vado a occupare l'unico seggiolino a trampolo libero accomodandomi a fianco di un uomo dalla pelle nera grande come un macigno, perlomeno è così che mi è parso quando l'ho visto da dietro.
Al cameriere che mi si avvicina chiedo di servirmi un trancio di pizza e una birra scura, dopodiché mi guardo attorno. Lo sguardo mi cade sul piatto di uova strapazzate e pancetta affumicata servite all’uomo seduto al mio fianco. Alzo il capo e mi accorgo che anche lui mi guarda.
- Trovi che sia strano? - mi chiede dandomi del tu.
- Eh?
- Mi sto riferendo alle uova e pancetta affumicata che sembri guardare con disgusto.
- Se le ho dato questa impressione ne sono dispiaciuta, non era mia intenzione mostrarmi maleducata. Sono ghiotta di uova al bacon, ma sono allergica a più sostanze contenute nelle uova, ragione per cui non mi è consentito mangiarle. E’ questa la ragione per cui mi sono persa a guardare il suo piatto.
- Davvero non vuoi assaggiarne un po’? - mi incoraggia nel suo perfetto italiano.
- No, grazie. - gli faccio segno anche col capo mentre il cameriere si affretta a deporre sul bancone il trancio di pizza che ho ordinato. Torna subito dopo con una bottiglia di Guinness scura a cui si affretta a togliere il tappo.
- Allora cos’altro c’è che non ti va?
- Prego?
- Ti ho chiesto cosa ti preoccupa?
- Davvero le sto dando questa impressione?
- Sì.
- Forse dipenderà dal fatto che in questi ultimi mesi ho studiato troppo.
- Universitaria?
- Sono iscritta alla facoltà di lettere, frequento il terzo anno.
- Ah, e sei brava?
- C’è chi dice che sono brava, ma io non posso lamentarmi.
- Ti piace frequentare l’università.
- Beh, quello che più mi disturba è l’avere a che fare con dei professori frustrati, persone incompetenti che si atteggiano a intellettuali, ormai riesco ad esaltarmi solo con poche persone. Mi piace studiare, sono curiosa e non vorrei mai smettere di apprendere le cose. Ma non ho più tanta voglia di imparare a memoria date inutili, particolari insignificanti e assecondare la contorta psicologia di ogni docente.
- E cosa vorresti?
- Vorrei concentrarmi in cose più importanti, vorrei dare più senso alla mia vita.
- E’ un problema di tutti, credo.
- Il fatto è che non riesco ad essere lucida e darmi degli obiettivi. A volte non m’importa un cazzo di quello che farò in futuro, ma quando mi capita di pensare alla vita in modo negativo è solo per scaramanzia, perché sto male appena sbaglio qualcosa. Sono una che si tormenta alla minima distrazione e subito mi sento in colpa.
- Beh, allora cos’è che non va?
- Non lo so, sono qui e vivo, e mi considero una ragazza fortunata a confronto di tante altre, eppure come puoi costatare ho il coraggio di lamentarmi.
- E allora?
- Non so cosa mi sta succedendo, perché se è vero che per alcuni giorni della settimana mi sento felice, bella, innamorata, subito dopo mi ritrovo ansiosa, depressa e ingrassata di qualche chilo.
- Non si direbbe guardandoti.
- Sono otto chili sopra il mio peso forma, dovrei pesare 48 chili mentre adesso ne sono 56.
- Ti assicuro che c'hai un corpo fantastico invece.
- Sono molto golosa, e mi capita quando sono stressata.
- E oggi come sei?
- Oggi? Boh!
Dopo che il cameriere mi ha servito il trancio di pizza mi sono persa a rispondere alle domande dello sconosciuto che sta seduto al mio fianco. Ho bevuto soltanto qualche sorso di birra e nient’altro. Sto per avvicinare la pizza alla bocca, ma vengo interrotta da un gesto dell’uomo che mi afferra per un braccio e mi fa cenno di seguirlo.
Senza opporre resistenza mi lascio condurre per mano lungo il corridoio incapace di una qualsiasi reazione. Lungo il percorso incrociamo uno dei vigilantes addetti alla sicurezza interna dell’ipermercato. Potrei urlare, chiedergli aiuto, ma non lo faccio, invece mi lascio condurre verso una destinazione a me ignota dall’uomo dalla pelle nera che mi trascina a forza con sé senza degnarmi di una parola.
La porta dei servizi igienici si spalanca davanti ai miei occhi spinta con forza dal mio compagno. Seguo l’uomo dentro il locale eccitata dalla strana situazione in cui mi sono venuta a trovare. Ho il fiato grosso, il cuore in palpitazione e la figa in tiro. Non so quali siano le sue intenzioni, ma qualcosa incomincio a intuirlo.
Superiamo la fila di orinatoio incastonati a una delle pareti e vuoti di persone. Vengo sospinta dentro uno dei gabinetti e non faccio niente per oppormi. Mi ritrovo con le spalle accostate a una parete del cesso alla turca. L’uomo è lesto a chiudere la porta col chiavistello alle nostre spalle, poi si gira verso di me. Lo guardo dritto negli occhi mentre accosta le mani sulle tette. Sono colta da una serie di brividi che mi trapassano lo scheletro dal capo ai piedi. Lui deve accorgersene perché dal suo viso traspare un ghigno malizioso che ne mette in risalto le gengive e una doppia fila di denti bianchi come l’avorio. Sollevo il capo di lato e lui ne approfitta per baciarmi sul collo, poi trascina le labbra dietro la nuca e mi morde la pelle mentre con le mani insiste a carezzarmi le tette che sento scoppiarmi tanto sono gonfie. Ho i capezzoli turgidi e sono eccitata da morire.
Non ho mai fatto sesso con un uomo dalla pelle nera, è la prima volta che mi succede, anche se è una fantasia che mi porto appresso da quando ero adolescente. La prima cosa che ho colto quando mi ha abbracciata è la puzza della pelle, davvero disgustosa, ma non ci faccio caso, anzi trovo l’odore generato dal sudore persino eccitante.
Avverto il calore della sua mano che s’insinua fra le mie cosce ed in maniera indecente mi accarezza le mutande. Incomincio ad ansimare scioccata dalla strana situazione in cui mi sono cacciata, stupita dalla voglia di scopare che mi è venuta addosso.
Mi lascio baciare sul collo, ma evito che le sue labbra si posino sulle mie. Scanso di lato il viso ogniqualvolta lui prova a farlo, soltanto quando abbassa la lampo dei pantaloni ed estrae l’uccello, depositandomelo nella mano, non faccio più caso alle sue labbra scioccata dalle dimensioni del gingillo di carne che stringo fra le dita.
Incomincio a masturbarlo per niente a disagio dalla situazione in cui mi sono venuta a trovare mio malgrado. Lui mi ha infilato le dita nella fessura della passera bagna fradicia e sciorina dei movimenti lenti e penetranti. Mugolo di piacere e non me ne vergogno, anzi, mi delizio nel renderlo partecipe delle sensazioni che sto provando.
Seguitiamo a toccarci fintanto che accosta tutt’e due le mani sul mio capo e mi spinge verso il basso obbligandomi ad inginocchiarmi ai suoi piedi. Ed il perché mi è subito chiaro. Mi ritrovo con la cappella che pulsa davanti alla bocca. Ha un colorito scuro, ma è uguale in tutto e per tutto alle altre di colore rosa che ho succhiato. Senza pensarci troppo, aiutandomi con la mano, la introduco fra le labbra e incomincio a succhiarla aiutandomi con la saliva che abbonda nella mia bocca.
L’uomo asseconda gli spostamenti del mio capo con il movimento del bacino. Entriamo subito in simbiosi ed i nostri movimenti diventano un tutt’uno. Se all’inizio il cazzo aveva il sapore di piscio adesso ha l’odore caratteristico della scopata ed è identico a quello di tutti gli altri che ho spompinato prima d’oggi.
Seguito a succhiare il cazzo con la figa che cola umore in quantità esagerata fra le mie cosce. Devo avere le mutande fradice e la cosa non mi dispiace perché sarà il ricordo che conserverò di questa avventura. Ma più di tutto ho voglia che mi seppellisca il cazzo fra le cosce, e poi non desidero che venga nella mia bocca.
Libero il cazzo dalle labbra e mi alzo in piedi. Senza che me lo chieda trascino gli slip sul pavimento facendoli passare sotto le caviglie dopo essermi liberata delle scarpe. Sono lesta a circondargli le braccia attorno il collo, attorciglio le gambe ai suoi fianchi e unisco i calcagni dietro la schiena. Lui è rapido ad accorgersi delle mie intenzioni, mi serra le mani intorno alle natiche e mi tiene sollevata da terra senza troppo sforzo. In questa postura, con il dorso della schiena appoggiata a una parete del cesso, lascio che accompagni con la mano il cazzo fra le mie cosce e lo seppellisca nella passera.
Manteniamo il capo accostato ciascuno a quello dell’altro e diamo ascolto ai suoni che escono dalle nostre labbra mentre scopiamo come animali. Annuso la sua pelle intrisa di nuovi odori mentre le appendici dei nostri corpi si cercano. Mi piace scopare in questa postura, seppure un po’ scomoda, ma che permette all’uccello di raggiungere il fondo dell’utero e oltre.
Sono madida di sudore e non sto più nella pelle per l’eccitazione. Desidero arrivare al più presto all’orgasmo, anche se mi capitata raramente di raggiungerlo, perlomeno con gli uomini, mentre quando mi masturbo da sola mi succede sempre.
Scopiamo da una decina di minuti ed ormai sono prossima a venire. Ho la figa in liquefazione e gli spasmi della mucosa si fanno più insistenti. Lui deve essersene accorto perché ha aumentato il ritmo della scopata. Il mio corpo incomincia a tremare e dalle labbra mi escono dei mugolii di piacere che non so trattenere, come mio solito.
- Sì… sì… godo! godo! - urlo a gran voce mentre sto per venire.
L’uomo non smette di scoparmi. Mi accascio col viso sulla sua spalla e tremo tutta mentre seguito a urlargli tutto il mio piacere.
Stavolta sono io a decidere di succhiarglielo, il cazzo. Mi inginocchio e infilo il cazzo nella bocca. Con il movimento della mano seguito a masturbarlo mentre succhio la cappella fintanto che viene. Faccio appena in tempo a liberare il cazzo dalla bocca prima che un fiotto di sperma, seguito da parecchi altri, mi colpisca in viso insudiciandomi. Ed è tutto quello che mi resta di lui.

Il carrello della spesa è parcheggiato dinanzi l’Oliver Bar, là dove l’ho lasciato. Ormai lo avevo dato per perso, invece è ancora pieno della merce che ho acquistato, nessuno ha rubato niente, nonostante la mia prolungata assenza. Sul bancone del bar non c’è traccia del trancio di pizza e della birra che non ho consumato. Mi avvio verso l’uscita dell’ipermercato appagata dopo quanto mi è successo, certa che una avventura come quella di cui sono stata protagonista non mi accadrà mai più. Ma non dispero che possa di nuovo accadere perché anch’io come il resto delle persone che hanno messo piede al supermercato ho bisogno di sognare.
 
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